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Quei “fiori del Mali” che dovranno crescere in autonomia

La moschea di Gao in MaliAda Nardin è una giovane non vedente, traduttrice e consulente di autonomia personale, molto attiva nel campo della promozione della mobilità autonoma dei disabili visivi ed è proprio questa, tra l’altro, la sua delega in seno al Consiglio della Sezione Provinciale di Roma dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti).
Dal 2007, con altri cooperanti, nell’ambito della missione umanitaria
Ridare la luce, Ada ha incominciato a recarsi a Gao, una cittadina del Mali, nell’Africa Centro-Occidentale, per aiutare la locale scuola integrata per ciechi e normovedenti (Institut Régional des Jeunes Aveugles), tenendo corsi di mobilità autonoma, tiflodidattica, inglese e informatica, consegnando materiale didattico, informatico e ludicosportivo e installando un centro stampa Braille e a caratteri ingranditi; tutto ciò accompagnato anche dalla ricerca di sbocchi lavorativi per le persone non vedenti dello Stato africano.
Tali attività si sono potute svolgere grazie all’Aeronautica Militare, che ha trasportato gratuitamente in loco Ada e gli altri cooperanti, insieme al materiale da loro reperito o acquistato grazie ai proventi di alcune iniziative di raccolta fondi.
Nel 2010, però, quando il progetto diventa
Le fleurs du Mali (“I fiori del Mali”), a cura dell’Associazione Blindsight Project, l’Aeronautica Militare sospende i voli per il Mali, divenuti troppo pericolosi per la mutata situazione politico-militare nella zona e nell’anno successivo – il 2011 – Ada, temendo che la mancanza di continuità negli aiuti vanifichi gli sforzi pregressi, chiede all’ADV (Associazione Disabili Visivi) di valutare la possibilità di sostenere almeno in parte le spese necessarie per il viaggio e i medicinali antimalarici da distribuire.
E così – come già aveva fatto anni prima per un’altra scuola per ciechi del Togo – l’ADV accoglie la richiesta e Ada può ripartire alla fine di novembre del 2011, insieme al suo compagno, l’ingegnere informatico Michelangelo Rodriguez, cieco assoluto, la cui alta professionalità è stata quanto mai preziosa per ripristinare le apparecchiature informatiche che nei due anni trascorsi si erano guastate. Con loro dovevano essere anche due cooperanti italiane, ma all’ultimo momento, anche per l’aggravarsi del pericolo del terrorismo islamico nella zona, hanno rinunciato, per cui Ada e Michelangelo sono partiti da soli con un volo di linea e con la previsione di dover percorrere 1.200 chilometri su un fuoristrada nel deserto e in piena “zona rossa”. 
«Credo – sottolinea Giulio Nardone, presidente dell’ADV, che ci ha per lo più fornito queste informazioni – che qualunque commento sia superfluo e che non potrebbe aggiungere nulla all’importanza e al profondo significato umano e sociale di questo comportamento. Dico soltanto che il constatare che in questa società consumistica e cinica esistono dei giovani che custodiscono e mettono in pratica questi valori, fa bene al cuore». E in effetti siamo convinti anche noi che la storia raccontata con tanta semplicità da Ada e che per noi è un onore presentare ai Lettori, sia a dir poco straordinaria.
Il progetto – come detto – si chiama
I fiori del Mali, rifacendosi natutalmente alla celebre raccolta lirica di Charles Baudelaire I fiori del male (Les fleurs du mal), visto che si rivolge tra l’altro a un Paese di lingua francese. (S.B.) 

Durante il nostro lungo viaggio nel deserto del Mali, abbiamo incontrato di certo, pur senza vederle, tante rose del deserto, ma i fiori che abbiamo osservato sul nostro cammino sono, se possibile, ancor più tenaci e struggenti.
Quest’anno ci siamo recati in Mali senza il valido supporto dell’Aeronautica Militare, che ci facilitava molto il compito, scortandoci direttamente da Roma a Gao, la città dove operiamo. Stavolta, infatti, abbiamo dovuto sottostare a un viaggio massacrante, effettuato con un volo civile, seguito da una traversata tramite mezzi su gomma. Un percorso condito da cambio di aereo nell’antica Cartagine, uno scalo tecnico in Costa d’Avorio e 1.200 chilometri, quasi venti ore in 4×4, da Bamako, la capitale del Mali, sino alla nostra meta, la città di Gao.Le lunghe ore trascorse nel deserto, molte delle quali affrontate con una mascherina sugli occhi per difendermi dalla luce eccessiva e dalla polvere copiosa, sono state accompagnate dalla splendida musica maliana proveniente dall’autoradio e, soprattutto, dalla calma presenza della docente della scuola che ci è venuta a prendere, da suo fratello che doveva recarsi a Gao e dal loro autista.
Eravamo tutti uniti dalla voglia di giungere a destinazione, ma anche da una preoccupazione che si era materializzata nelle ultime ore: la minaccia di essere prelevati per strada dalle bande di terroristi di Al-Qaida che, in quei giorni avevano compiuto, proprio sul percorso che dovevamo fare noi, azioni simili ai danni di alcuni viaggiatori e lavoratori stranieri, uno dei quali era stato addirittura ucciso per aver tentato di sottrarsi al rapimento.
Si può facilmente immaginare con quale stato d’animo abbiamo affrontato il lungo e complesso itinerario, essendo consapevoli della nostra fragilità in un deserto così vasto, meraviglioso, ma ostile, e in un Paese spesso così inquieto.
L’ultimo tratto da affrontare era il più pericoloso e la gendarmeria locale ha stabilito di scortarci con due guardie armate. Una cosa del genere non mi era mai capitata e sono felice di poterla raccontare.
E tuttavia, il tragitto non sempre è stato segnato da momenti di muta tensione, anzi, è stato meraviglioso fermarsi in alcuni villaggi per delle brevi soste di ristoro, lungo il nastro d’asfalto che collega le maggiori città maliane.
Ascoltare il silenzio del deserto o i suoni provenienti dagli stanziamenti accanto alla strada, e poter godere degli aromi di carne alla brace assaporata con vero gusto è una sensazione che avevo già vissuto in altri viaggi, ma, in questa particolare occasione, sapori e suoni non familiari hanno comunque favorito una calma cercata e accolta con riconoscenza.

leftGiunti a destinazione, abbiamo finalmente riabbracciato i tanti amici coltivati in questi anni e iniziato immediatamente a lavorare al progetto, visto che era nell’aria la decisione di ripartire al più presto possibile, al fine di ridurre al minimo i rischi. E infatti così è stato: siamo ripartiti solo quattro giorni dopo alla volta della Capitale, ma stavolta dividendo il viaggio in macchina in due giorni e sostando un paio di notti a Bamako.
Naturalmente, il nostro primo pensiero è stato quello di verificare se le indicazioni e gli insegnamenti forniti negli anni precedenti avessero dato i loro frutti. Abbiamo quindi assistito alla prima fase del corso di mobilità e orientamento svolto dai docenti formati a beneficio dei nuovi allievi della scuola, controllato che le trascrittrici preparate nel corso delle precedenti missioni avessero svolto correttamente il proprio lavoro e abbiamo proseguito l’opera di sensibilizzazione presso gli organismi locali.
I colloqui avuti con le autorità scolastiche del luogo e con i dirigenti delle scuole superiori in cui sono inseriti gli allievi ciechi e ipovedenti, dovrebbero assicurare all’Istituto Regionale per Giovani Ciechi una rete di sostegno e collaborazione, nonché la possibilità che i libri prodotti nel centro stampa possano essere pagati dalle scuole comuni che, così come si occupano di fornire i testi agli allievi vedenti, devono anche provvedere alla fornitura per quelli con difficoltà visiva.

Un altro progetto che ha visto la luce nel corso della missione di quest’anno, è quello dell’orto didattico che, oltre ad assicurare il sostentamento alimentare ai convittori dell’istituto e forse anche qualche entrata extra proveniente dalla vendita al mercato locale dei prodotti, qualora il raccolto sia buono, offre anche la possibilità ai ragazzi di apprendere alcune tecniche agronomiche che potranno sempre tornare loro utili nella vita, una volta tornati nei rispettivi villaggi d’origine.
L’unica vera nota stonata è la scarsa o nulla manutenzione della strumentazione informatica che forma il centro stampa: l’UPS (gruppo statico di continuità) era inservibile e da esso fuoriusciva l’acido che funge da elettrolito per la batteria; un computer stentava a partire, un monitor e una tastiera erano irrecuperabili e, quel che è peggio, la stampante Braille era fuori uso per colpa di un foglio che, essendosi incastrato, ha scardinato il carrello, bloccandola e compromettendone l’utilizzo.
Quindi, oltre ad installare il software aggiornato per la scansione dei testi, siamo stati costretti a sostituire il materiale danneggiato e ad effettuare la manutenzione necessaria per riportare a funzionare la stampante Braille, senza la quale il nostro lavoro – finalizzato all’accesso all’istruzione da parte dei ciechi e ipovedenti di Gao – non avrebbe avuto alcun senso.

Una volta salutati gli amici e ripartiti per Bamako, abbiamo deciso di sfruttare la tappa forzata nella Capitale, in attesa del volo per visitarla, ma, soprattutto, per allacciare contatti fruttuosi con l’Istituto per Ciechi che, abbiamo potuto constatare, è ben organizzato, ospita un gran numero di allievi, e programma molteplici attività: formative, riabilitative, educative, ludico sportive e lavorative.
Abbiamo chiesto ai dirigenti di quell’Istituto di collaborare con il loro omologo di Gao, al fine di attivare per gli allievi corsi di tifloinformatica, materia troppo complessa per poterla esaurire nel corso delle nostre brevi missioni, e inoltre di fornire alle trascrittrici assistenza in caso di problemi al centro stampa.

Tornando al nostro viaggio, al ritorno lo scalo a Tunisi è stato addirittura di un giorno, cosa che ci ha consentito di visitare un’altra città storica, di camminare nella Medina e di fare qualche acquisto nel famoso Suk, sempre pieno di colori, essenze profumate, spezie e suoni dal sapore sfuggente.
Tirando le somme, posso dire che questa volta l’esperienza è stata ancora più ricca, date le differenti emozioni e sensazioni provate.
L’occasione di passare per Bamako, oltre ad essere gradevole per noi, si è rivelata utile, sia per i contatti presi con l’Istituto per Ciechi, sia perché si è finalmente concretizzata la possibilità di affidare la stampante Braille alle cure di tecnici più esperti di quelli presenti a Gao i quali, anche negli anni passati, hanno danneggiato le macchine piuttosto che ripararle.
Il nostro auspicio è sempre che, un giorno non troppo lontano, lo staff di Fleurs du Mali possa chiudere il progetto affinché esso cammini da solo e sia quindi sostenibile e sostenuto dagli organismi o dagli esperti locali.
Insomma, perché i “fiori del Mali” sboccino, è necessario piantarli in un terreno fertile, magari innaffiarli, ma poi lasciarli crescere in autonomia, la stessa autonomia che ciascun essere consapevole reclama per sé.

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