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Ladri del tempo

Persona con la mano sul viso ed espressione di doloreUn progetto di vita è sostanzialmente un percorso e come per tutti i percorsi, è necessario avere tempo, energie a disposizione, ma soprattutto sinergie da potere spendere, su cui poter fare costantemente affidamento. La Legge 162/98 [ove si parla di “piani personalizzati” per le persone con grave disabilità, N.d.R.] è nata per questo e ha dato i suoi frutti grazie alla precisa volontà di riuscire a scommettere e continuare a lottare e sperare.
Sì, perché tutti i percorsi educativi rappresentano una scommessa. Senza questa, gli stessi si trasformerebbero in meri esercizi spuri e in sterili automatismi. Il Legislatore ha visto molto bene, quando ha partorito la sua creatura. Anche le nuove guide ICF [la Classificazione Internazionale sul Funzionamento, la Disabilità e la Salute, fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001, N.d.R.] hanno ricalcato aspetti precedentemente lasciati in ombra.
Affiancare una persona in difficoltà e aiutarla a progettare la sua intera esistenza non è una cosa semplice, tanto meno banale. Rappresenta una “ginnastica di civiltà”, una celebrazione di democrazia, una manifestazione tangibile di progresso. Se la menomazione di certo non può venire risolta, al contrario, la qualità di vita della persona che ne è affetta realmente riesce a sperimentare sviluppi a dir poco significativi.
Questo, ad esempio, è il caso di Andrea, che utilizzerò come esempio per far emergere la realtà di centinaia e migliaia di altre persone con disabilità che, come lui, ogni giorno lottano per afferrare un lembo di dignità e riuscire ad assaporare in questo modo una vita finalmente degna di essere vissuta.

Andrea ha trent’anni e dalla nascita è affetto da una grave forma di tetraparesi spastica. Dato per spacciato dai medici, Andrea, insieme alla sua famiglia, non si è arreso, ha lottato. Anche grazie alla Legge 162, adesso Andrea lavora e ha raggiunto un’importante autonomia, frutto di enormi sacrifici. Sacrifici certamente tutti suoi, ma anche della famiglia e del suo educatore, che è riuscito con tenacia e determinazione a ritagliare un piccolo posto nella società al ragazzo. E sappiamo quant’è difficile di questi tempi!
Quando rientra a casa, adesso Andrea ha qualche cosa da raccontare, ha amici, viene riconosciuto non più solamente in quanto disabile, ma come persona, collega, compagno, amico.
Non è un dettaglio. La dignità umana passa per piccole minuzie, come quella di potersi svegliare la mattina e avere un obiettivo. Negare uno scopo a una persona significa negare a quella persona la vita stessa.
Fatica, sudore, illusioni e disillusioni. Un’intera esistenza lottando per ritagliarsi un metro quadro di autonomia. Con i denti e con le unghie. Infatti, tutto questo non cade dal cielo e non arriva da solo: è stato necessario un duro percorso che ha visto diversi protagonisti, oltre a quello principale che senza dubbio è Andrea. Se infatti al suo fianco non ci fosse stato un educatore (che ha curato nei dettagli la regìa), si sarebbero ottenuti tutti questi risultati? Io dico di no e ne sono sicuro.
Il lavoro degli educatori e di tutti coloro che aiutano altri esseri umani a diventare “persone” è un mestiere faticoso, duro, coinvolgente. Un mestiere tra i più nobili e importanti. In questo lavoro non si spostano mattoni di cemento, tanto meno si edificano muri o si fabbricano strade o ponti. Vero è che qesto tipo di lavoro è un mestiere “invisibile”, ingrato, malpagato, sottostimato e tuttavia l’educatore – e l’operatore sociale in generale – questi muri più che edificarli li abbatte e i ponti e le strade che costruisce giorno dopo giorno non si vedono, ma fanno la differenza in termini concreti, in termini di possibilità di vita.
Quando insomma non costruisce strade, l’educatore lavora per liberarle da detriti o impedimenti. Servono tempo, fiducia, sinergie. Serve tempo.

Andrea adesso lavora ed è sereno, ma occhi e menti miopi vedono in questo risultato il termine dello stesso percorso educativo. Il fine ultimo. Per loro il programma è terminato. Si sbagliano enormemente. Andrea (e tanti come lui) inizia adesso il suo reale percorso di vita; è a partire da questo momento che ha più bisogno di aiuto, sostegno, guida.
Togliere ore alla sua 162 rappresenta la negazione stessa di tutto quello che tale Legge si prefigge, auspica, impone. Nel suo specifico caso, significherebbe dover rinunciare allo stesso lavoro, poiché l’educatore che lo ha sempre accompagnato non avrebbe più le ore per continuare a farlo. Sarebbe una tragedia, un’ingiustizia.
Resto fermamente convinto che moralmente non possiamo permetterci di accompagnare verso l’autonomia un ragazzo e poi abbandonarlo. Non ce lo possiamo permettere, anche perché, in un’epoca dura e difficile come quella che stiamo vivendo, rubare sogni e infrangere illusioni rappresenta un crimine etico ancora più insopportabile.
Spero che i Legislatori accolgano queste parole con il cuore, prima ancora che con la ragione, e che, alle consuete logiche finanziarie e amministrative, prevalgano invece considerazioni di natura umana, civile e morale.
Rubare è un reato. Restituite perciò il tempo e la speranza ai nostri figli.

*Presidente dell’Associazione Il Raglio di Cagliari.

Sulle questioni di cui si parla nel presente testo, suggeriamo anche la lettura dei più recenti contributi da noi pubblicati sull’applicazione della Legge 162/98 in Sardegna, vale a dire: Sardegna: perché va sostenuta l’attuazione della Legge 162 (di Rita Polo, cliccare qui) e Sardegna: continua la battaglia sui piani personalizzati (cliccare qui).
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