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Paziente «problematico»? Mandiamolo in un centro specializzato!

Più facile per Ulisse tornare a Itaca, che non per una ragazza con disabilità essere curata dopo una caduta? A volte sembra proprio di sì! Una vera odissea o, per meglio dire, un lungo e tormentato viaggio prima del ritorno a casa: forse è mancata la tragicità del poema omerico, ma le peripezie di viaggio in ambulanza di una ragazzina con disabilità di Cairo Montenotte (Savona) (si legga a tal proposito l’articolo Cinque ambulanze per fare una visita, pubblicato il 24 marzo nella cronaca di Savona del «Secolo XIX»), che per una problematica collegata a una patologia ossea (osteocondrite) è stata costretta, con la madre, a ben cinque viaggi in ambulanza tra gli ospedali di Cairo, Savona e Genova, per una serie di disguidi, testimoniano che le incomprensioni e  la mancanza della dovuta attenzione verso  il paziente con disabilità hanno evidenziato ancora una volte al meglio – anzi, “al peggio” – le irrisolte tematiche dell’accesso in ospedale per le persone con maggiori necessità di supporti assistenziali.

Sul tema ricordiamo sia l’interessante esperienza del Progetto DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance), all’Ospedale San Paolo di Milano, sia due articoli firmati da chi scrive (cliccare qui e qui), sia un recente intervento di Marina Cometto  su queste stesse pagine (cliccare qui).
Ebbene, le famiglie delle giovani persone con disabilità vogliono ancora una volta far notare che sovente i disagi maggiori sono creati da un approccio erroneamente basato sulla cosiddetta “medicina difensiva” (paziente “problematico”? Mandiamolo in un centro specializzato!) e sulla mancanza di un canale di accesso facilitato alla struttura ospedaliera, anziché da problemi creati dalle stesse patologie specifiche.

*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).

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