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Per una vera integrazione anche nelle comunità ecclesiali

Uomo di profilo con espressione pensierosa«Lasciate che i bambini vengano a me»: queste parole di Gesù sono riportate in due brani dei Vangeli ed esattamente nel Vangelo di Marco al capo 10 (versetti dal 13 al 15) e nel Vangelo di Matteo al capo 10 (versetti dal 13 a 16).
Sono parole che secondo una nota di agenzia ANSA, sarebbero state sottovalutate da un Parroco della Diocesi di Ferrara il quale recentemente – come riferito da vari giornali e agenzie di stampa [anche il nostro sito ha pubblicato sulla questione un articolo ripreso dal blog InVisibili di «Corriere della Sera.it», disponibile cliccando qui, N.d.R.] – avrebbe saltato, durante la distribuzione dell’Eucaristia nella cerimonia preparatoria alla Prima Comunione, uno dei tanti bambini, perché con disabilità intellettiva e quindi, a detta del Parroco, ancora «non preparato a comprendere la differenza fra pane normale e pane eucaristico».
La notizia, per altro, è stata poi smentita dal quotidiano «Avvenire» (se ne legga cliccando qui), che ha chiarito come tra la famiglia e il Parroco vi sia stato un accordo, per favorire tempi più lunghi di preparazione del bambino.
Episodi del genere, tuttavia, si verificano di tanto in tanto, anche se con minor frequenza rispetto ai decenni precedenti, poiché molte comunità parrocchiali hanno ormai avviato percorsi pastorali di accoglienza dei bambini con disabilità.
Anche la notizia, poi, che i genitori del bimbo volessero fare ricorso al Tribunale Europeo dei Diritti Umani e pure in Vaticano ai sensi del diritto canonico, sarebbe infondata e se in ogni caso dovessero verificarsi fatti del genere, sarebbe molto più efficace che le famiglie si appellassero in Italia sia alla Legge 67/06 sul divieto di discriminazione delle persone con disabilità, sia alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dal nostro Paese con la Legge 18/09.
Siccome però qui intendo richiamare l’attenzione sulla necessità di un maggiore impegno pastorale delle comunità ecclesiali, per una crescente integrazione in questo ambito, sia dei minori che degli adulti con disabilità, desidero esporre il mio pensiero sulle obiezioni che ancora taluni si attardano a prospettare, per negare l’amministrazione del sacramento eucaristico a qualche bimbo con disabilità intellettiva grave.

Io che sono un minorato visivo e in quanto tale sono stato negli Anni Ottanta presidente nazionale del Movimento Apostolico Ciechi (MAC) e che ebbi l’occasione di intervenire nel 1987 al Sinodo Mondiale sui Laici promosso dalla Chiesa Cattolica, mi permetto dunque – pur essendo avvocato – di impostare la grave questione da un punto di vista pastorale, secondo gli orientamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, purtroppo troppo presto dimenticato anche da molti parroci.
Una delle più famose costituzioni approvate da quel Concilio si apriva proprio con le parole «le gioie, le speranze e le sofferenze del mondo sono anche le gioie, le speranze e le sofferenze della Chiesa». Ciò ha fatto sì che presso l’Ufficio Catechistico della Conferenza Episcopale Italiana venisse aperto – dopo il Concilio -un settore concernente la Pastorale delle persone con disabilità, che ha prodotto una serie interessantissima di documenti formativi su come annunciare Gesù morto e risorto anche ai bambini e agli adulti con disabilità, specie intellettive.
Temo che anche molti di questi documenti non siano stati letti da troppi parroci. Da essi emerge con la massima chiarezza che bisogna preparare e accostare i bambini con disabilità intellettive ai sacramenti dell’iniziazione cristiana – specificamente la Comunione – insieme ai coetanei senza disabilità, in modo da realizzare  una vera integrazione ecclesiale, al pari dell’integrazione sociale operata nelle scuole e nella società civile. Anzi, si invitano i parroci ad aprire i gruppi di catechismo in preparazione alla Prima Comunione, alla presenza di coetanei con disabilità anche intellettive, per prepararli, «secondo le loro possibilità» a quella festa comune.
Quei documenti – proprio rispondendo alle obiezioni di quanti hanno una visione esclusivamente teologico-dogmatica  del significato del Mistero dell’Incarnazione di Gesù – chiariscono che non esiste, come scientificamente provato, solo un’intelligenza razionale, ma anche un’intelligenza metacognitiva, e simbolica, fondata su aspetti apprenditivi affettivi ed emozionali, che sono le modalità con le quali molto più facilmente acquistano conoscenza le persone con disabilità intellettive.
E a quanti obiettavano che era indispensabile avere una consapevolezza razionale della differenza tra “il pane normale e quello consacrato”, quei documenti insistono molto sul valore del senso dell’affettività con cui i bambini – specie quelli con disabilità intellettive – si avvicinano al Mistero eucaristico.
Sempre quei documenti chiariscono infine che della fede di questi bambini – formati religiosamente secondo le loro possibilità – si fa garante la comunità ecclesiale nel cui seno sono allevati e integrati.

Di fronte a questi orientamenti pastorali di un importante Ufficio della Conferenza Episcopale, penso che molti parroci dovrebbero più profondamente interpretare le parole di Gesù che volle prediligere i bambini, i quali certamente non sapevano e non avrebbero compreso cosa significava sentir dire che «Egli era il Messia e il Figlio di Dio» e anzi aveva «ringraziato il Padre, perché aveva nascosto i valori del Suo Regno ai sapienti e li aveva rivelati ai piccoli» (Matteo, capo 11, versetto 25).
Noi che ci diciamo cristiani dovremmo insistere con i preti e i parroci affinché evitassero discriminazioni come quella di qualche anno fa – vera e non smentita -, quando venne negato a un giovane paraplegico il matrimonio religioso perché era divenuto impotente a causa della sua disabilità.
Dovremmo poi insistere affinché alla luce dei testi citati, essi sapessero realizzare l’integrazione nelle comunità ecclesiali delle persone con disabilità, che costituisce la vera “imitazione di Cristo”, il quale accoglieva con la massima naturalezza le persone emarginate.
Se però questo appello a un rinnovamento pastorale non riuscisse ad essere accolto con successo da tutti gli operatori pastorali e se qualcuno si attardasse ancora in obiezioni intellettualistiche, rispetto alla Comunione o agli altri sacramenti da impartire alle persone con disabilità, allora, forse, anche qualche causa legale per discriminazione potrebbe svegliare noi cristiani dal sonno dogmatico.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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