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Il volontariato e le attività commerciali e produttive

Come tutte le pubblicazioni della Fondazione Zancan di Padova, il recente volume Organizzazioni di volontariato e attività commerciali e produttive è frutto del dibattito fra grandi esperti professionisti e operatori dei soggetti del Terzo Settore.
Il tema trattato – lungi dal sembrare ristretto in angusti spazi accademici o limitato al Terzo Settore stesso -, offre uno spaccato dell’attuale dibattito politico e culturale sulla forte trasformazione in atto dello Stato Sociale. Lo spunto è dato da quella parte della Legge 266/91, la Legge-quadro dei rapporti tra volontariato e Pubbliche Amministrazioni [articolo 8, comma 4, N.d.R.] che prevede la possibilità per le organizzazioni di volontariato di poter svolgere attività commerciali e produttive «marginali», per meglio sostenere il perseguimento dei propri obiettivi, che debbono essere privi di lucro «neppure indiretto». Copertina del libro edito dalla Fondazione ZancanTale norma è stata successivamente precisata dal Decreto Ministeriale del 25 maggio 1995, che ha stabilito i limiti e le condizioni  per le quali un’attività commerciale può dirsi «marginale», restringendone notevolmente la portata. Successivamente – a seguito anche dell’influsso della normativa europea in materia – un ulteriore provvedimento legislativo ha apparentemente ampliato tale spazio di azione [Decreto Legislativo 460/97, articolo 10, comma 8 e si veda anche il successivo Decreto Legge 185/08, articolo 30, comma 5, convertito nella Legge 2/09, N.d.R.].

A questo punto è da tener presente che nel 1991 – data di promulgazione della  Legge 266/91 – erano presenti nel campo del sociale, come soggetti con attività non lucrative, solo le organizzazioni di volontariato, distinte dalle cooperative di solidarietà sociale, che invece svolgono attività produttive vere e proprie.
Solo successivamente è stata approvata la Legge 383/00 sulle associazioni di promozione sociale e ancora dopo è stata emanata la normativa sulle imprese sociali [Legge 118/05 e Decreto Legislativo 155/06, N.d.R.]. Va poi ricordato che altri soggetti del Terzo Settore si imponevano con sempre maggior forza nel campo del sociale, come le fondazioni di partecipazione, di comunità e soprattutto quelle bancarie.
E ancora, sia la crisi economica cominciata alla fine degli Anni Novanta, sia il diffondersi sempre più impetuoso delle idee liberiste e antistataliste anche in campo sociale, facevano sì che  da un lato il settore pubblico territoriale si ritirasse sempre più dal campo del sociale, mentre dall’altro il Terzo Settore veniva sollecitato a intervenire in ambito di servizi sociali, non solo per colmare lo spazio lasciato scoperto dal pubblico, ma anche per una maggiore presa di coscienza del proprio ruolo di soggetto attivo di sussidiarietà orizzontale, successivamente sviluppato nella teoria della cosiddetta Big Society.
Questo tumultuoso agitarsi dei soggetti del Terzo Settore ha coinvolto culturalmente anche molti ambienti gravitanti attorno e dentro le organizzazioni di volontariato, provocando pure in esse una deriva verso la logica dell’impresa sociale, che però ad altre organizzazioni di volontariato è sembrata tradire i principi essenziali su cui era fondata la stessa Legge 266/91. Da qui si è sviluppato nel mondo del volontariato – e più largamente anche dell’opinione pubblica, e poi in campo scientifico – un ampio dibattito non ancora concluso.

Il volume curato da Emanuele Rossi rappresenta in modo lineare e assai completo lo stato attuale del dibattito. Infatti, i capitoli principali e iniziali sono affidati alla penna di studiosi come Ugo Ascoli, docente di Sociologia Economica all’Università Politecnica delle Marche, lo stesso Emanuele Rossi, docente di Diritto Costituzionale alla Scuola Superiore Sant’Anna dell’Università di Pisa, Renato Frisanco, ricercatore della Fondazione Roma-Terzo Settore, già Fondazione del Volontariato, costituita da Luciano Tavazza, cofondatore con monsignor Giovanni Nervo anche del MoVI (Movimento Volontariato Italiano) [si legga nel nostro sito un ampio ricordo di Luciano Tavazza, cliccando qui, N.d.R.].
Seguono poi numerosi scritti di ricercatori in campo sociologico, economico e giuridico, nonché molti interventi di dirigenti di organizzazioni di volontariato e del Terzo Settore.
Il tema viene sviscerato da diverse angolature e con differenti argomentazioni, dalle quali emergono i due orientamenti che si affrontano in modo dialettico e talora molto critico, circa la liceità etica, economica e giuridica della gestione di imprese non marginali da parte delle organizzazioni di volontariato.
In tal senso l’orientamento possibilista insiste molto sulle mutate condizioni dello Stato Sociale, mentre gli oppositori paventano lo snaturamento dello spirito del volontariato. I primi possono – forse in modo troppo affrettato – considerarsi come “innovatori”, i secondi – in modo forse meno ragionato – come “conservatori”.
Il dialogo che si svolge per tutto il libro è assai interessante, vivace e strettamente aderente alla realtà attuale. La lettura di esso può certamente giovare a una sempre più ampia formazione dell’opinione pubblica, circa la permanenza del valore fondativo della gratuità nell’incessante mutare della storia.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

Emanuele Rossi (a cura di), Organizzazioni di volontariato e attività commerciali e produttive, Padova, Fondazione Zancan, 2012, 207 pagine, 15 euro.
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