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Integrazione e inclusione per i nostri figli con disabilità

Bimbo alla lavagna con aria corrucciataSiamo un’associazione di genitori e ci occupiamo della tutela dei diritti delle persone disabili nel nostro Paese. Nel seguire con estrema attenzione le svariate dichiarazioni, nonché i provvedimenti che l’attuale Governo sta dispensando in materia di integrazione scolastica e sostegno, constatiamo la progressiva erosione dei diritti degli alunni e degli studenti con disabilità e ci troviamo pertanto costretti a chiarire alcuni aspetti.

Nessun motivo, di tipo economico, può limitare o abrogare i diritti sanciti dalla legislazione vigente, frutto di decenni di lavoro, riguardante le persone con disabilità. In primo luogo ci riferiamo ai diritti all’istruzione e allo studio, esplicitati e normati dagli articoli 12-16 della Legge 104/92 che in troppi (quand’anche “tecnici”), sembrano non conoscere o, peggio, disconoscere.
Non possiamo rimanere indifferenti né inattivi al vedere trasformati i nostri figli in “voci di spesa”, che possono essere ridimensionate o addirittura espunte da qualcuno che tiene in mano una calcolatrice, come successe più di sessant’anni fa in Germania. I nostri figli sono Cittadini di questo magnifico Paese che si chiama Italia e sono persone.
Siamo stanchi di leggere – magari sui siti istituzionali – frasi come: «l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità costituisce un punto di forza del nostro sistema educativo. La scuola italiana, infatti, vuole essere una comunità accogliente nella quale tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita individuale e sociale. La piena inclusione degli alunni con disabilità è un obiettivo che la scuola dell’autonomia persegue attraverso una intensa e articolata progettualità, valorizzando le professionalità interne e le risorse offerte dal territorio» e poi apprendere dai media che: «Non si può pensare che lo Stato sia in grado di fornire tutto in termini di trasferimenti e servizi. Sia il privato che lavora per il profitto sia il volontariato no profit sono necessari per superare i vincoli di risorse. Il privato, in più del pubblico, possiede anche la creatività per innovare e per creare prodotti che aiutino i disabili. La sinergia tra pubblico e privato va quindi rafforzata» [il riferimento è ad alcune recenti dichiarazioni del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero, delle quali anche il nostro sito si è ampiamente occupato, N.d.R.].
Non accettiamo lo svuotamento dello Stato: non serve ai Cittadini “abili”, figuriamoci ai nostri figli!

Nell’ambito del sistema scolastico, i nostri figli – che secondo i dati statistici, ammontano a quasi 200.000 unità, frequentanti la Scuola Pubblica Italiana – sono persone con bisogni educativi complessi; affiancar loro docenti non adeguatamente formati, preparati e motivati, oltre a costituire un reato nell’ignorare la citata Legge 104/92, deprime i valori basilari per la didattica di sostegno: la qualità e la continuità didattica.
I nostri figli non possono patire trattamenti discriminatori di nessun ordine e grado perché «l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap» (Legge 104/92, articolo 12, comma 4).
Come Associazione, nel settembre dello scorso anno abbiamo lanciato una campagna denominata GLH in tutte le scuole, si può fare. I Gruppi di Lavoro sull’Handicap sono anch’essi previsti dalla Legge 104/92 e tuttavia, ancora nell’anno scolastico 2011-2012, a distanza cioè di vent’anni dall’approvazione di quella norma,  in molte scuole italiane scandalosamente ancora non esistono.
Bimbo con disabilità entra a scuolaIn tal modo le famiglie sono escluse a priori da quel concetto che è la base fondante della progettualità intorno all’alunno disabile; gli specialisti che dovrebbero seguirlo neanche si presentano (o interpretano la faccenda come uno dei tanti adempimenti burocratici connessi alla professione), continuando a stilare Diagnosi Funzionali lontane anni luce dal concetto di disabilità e dal modello progettuale dell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, elaborata nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’ICF ha superato le classificazioni precedenti (ICIDH e ICIDH-2), ponendosi l’obiettivo di spostare l’attenzione da un’ottica negativa, centrata sul problema, a un’ottica più neutra, focalizzata cioè sulle condizioni di salute in generale, “buone” o “cattive” che siano e inquadrando la disabilità come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali e quelli ambientali che rappresentano le circostanze in cui egli vive. Ne consegue che ogni individuo – date le proprie condizioni di salute – può trovarsi in un ambiente con caratteristiche che possono limitare o restringere le proprie capacità funzionali e di partecipazione sociale.
È paradossale, pertanto, che la scuola faccia di tutto per porsi come ostacolo, invece che come facilitazione al processo di inclusione dei nostri ragazzi.
Infine: le ore di sostegno, che dovrebbero essere assegnate secondo chiari e precisi criteri, non rispettano nemmeno l’indicazione standard del rapporto di 1 docente ogni 2 alunni, ma addirittura si arriva alla prassi di un docente ogni 4 (Lazio, Lombardia, Sicilia)!
Le famiglie, pertanto, ricorrono ai TAR [Tribunali Amministrativi Regionali, N.d.R.], vincono tutte e il Ministero è costretto a pagare le spese di risarcimento. Quanto costa allo Stato tutto questo? Quante risorse vengono sottratte al bilancio? Quanti stipendi di docenti specializzati per il sostegno si potrebbero pagare con quei milioni sprecati ogni anno in questo modo?
A causa dell’ignoranza sinanco delle Linee Guida per l’Integrazione Scolastica, emanate proprio dal Ministero, si verificano grotteschi balletti sulle rispettive competenze dei vari enti coinvolti, per cui assistiamo a vergognose vicende dove l’alunno disabile non ha il trasporto, non ha l’assistente materiale e non può magari fermarsi a scuola all’ora di pranzo. Oppure, quando nessuno sa chi deve somministrare il farmaco salvavita, egli non può nemmeno frequentare la scuola. Questo per citare solo la casistica più eclatante e purtroppo più numerosa.

Il modello della nostra scuola, tanto invidiato all’estero, dove invece ci sono ancora le scuole “speciali” in cui vengono ghettizzati gli alunni disabili, non funziona nella maggior parte delle scuole italiane. E questo non succede tanto per mancanza di risorse, quanto per mancanza di volontà, buon senso e conoscenza di quelle norme che dovrebbero essere alla base di tutto il sistema. E forse anche per la mancanza di quella cultura dell’integrazione e dell’inclusione che proprio la Scuola Pubblica è chiamata a creare. Le norme per farla funzionare, però, esisterebbero da tempo e servirebbe solo applicarle, senza inventare alcunché, ciò che non implicherebbe alcun esborso economico (anzi probabilmente si verificherebbe il contrario!).
Chiediamo perciò ai destinatari di questo nostro messaggio una profonda riflessione, premessa imprescindibile per un’azione concreta, che si traduca in un tavolo di confronto paritario tra voi e le cosiddette parti sociali, a rappresentanza di tutto il mondo della disabilità italiana coinvolto nel settore dell’integrazione scolastica, nel più breve tempo possibile.
E chiediamo anche di riflettere sul fatto che nessuno sceglie di nascere disabile. Accade. E accade indistintamente a chiunque, anche nel corso della vita. Una società civile e sana, però, non fa differenze verso nessuna categoria, soprattutto quelle più deboli.

*Presidente dell’Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti ONLUS, organizzazione voluta “da genitori per i genitori”, con l’obiettivo di tutelare i diritti dei propri figli con disabilità.

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