Persone, non “pacchetti di figurine”

Da una parte la legittima e doverosa lotta a chi truffa, dall’altra chi avrebbe diritto a una visita di accertamento dignitosa, rispettosa delle difficoltà altrui, fatta rispettando le regole fissate dall’INPS stesso: ma non succede sempre, come abbiamo anche noi testimoniato più volte su queste pagine, e troppi onesti Cittadini continuano ad essere trattati come fossero dei “truffatori da sconfessare”

Tante figurine di calciatori stese su un tavolo

«Troppe volte – scrive Simone Fanti – ho letto di 55.000 esodati, 50.000 ciechi o 75.000 disabili come se fossero un “pacchetto di figurine” da spostare di qua o di là nelle colonne dei bilanci a partita doppia»

Tra le cifre e le persone… io scelgo le persone. Ho la pancia in rivolta da ieri mattina, quando ho iniziato a leggere i commenti al testo Le scuse non bastano più, pubblicato in InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it» da Franco Bomprezzi [direttore responsabile di Superando.it, N.d.R.], che parlava di come stanno avvenendo in questi mesi i controlli dell’INPS. Un’acidità di stomaco che cresceva riga dopo riga nel vedere trasformarsi le cifre snocciolate con leggerezza da burocrati in persone in carne ed ossa troppe volte maltrattate.
Ottocentomila controlli significano 800.000 persone (anzi molte di più, perché le persone con disabilità si muovono – quando non possono fare altrimenti – solo accompagnate) che si sono dovute recare agli uffici dell’INPS, per dimostrare con pratiche talvolta umilianti e lesive della dignità delle persone la propria disabilità, anche quando questa è definitiva o degenerativa. Ottocentomila controlli straordinari per scoprire i truffatori, 400.000 controversie, 31.000 indennità ritirate… circa 1.500 casi di “furbetti dell’invalidità”. Insomma un balletto di cifre in cui ognuno trova di che giustificare le proprie affermazioni. Io torno quindi alle storie delle persone.

I racconti dei Lettori parlano purtroppo chiaro. Ma scindiamo per un attimo i due binari della vicenda. Da un lato c’è la legittima e doverosa lotta a chi truffa, i famosi “falsi invalidi”, e dall’altro c’è chi ha una disabilità, leggera o grave che sia, una persona onesta. Ora cosa c’entra la sciatteria (per non dire di peggio) di alcuni controlli con la lotta ai falsi invalidi? Una visita dignitosa, rispettosa delle difficoltà altrui (alcuni si lamentano pure dell’inaccessibilità dei luoghi), fatta rispettando le regole stesse fissate dall’Ente (alcuni lamentano di controlli effettuati da soli due medici, quando la normativa ne prescrive almeno cinque) è un diritto. Come lo sarebbe – a mio avviso – la visita a domicilio nei casi più gravi. La sensazione è che spesso i controllori partano prevenuti, come se tutte le persone con disabilità fossero dei truffatori da sconfessare.
«Ma è una situazione transitoria», ha detto Gabriele Uselli, direttore delle Pensioni INPS alla trasmissione di Raitre Cominciamo bene, cui anche chi scrive è intervenuto come ospite via skype. «Queste visite servono per raccogliere le cartelle cliniche per costruire un archivio su cui basare gli eventuali controlli futuri. In molti casi sarà la prima e l’ultima», assicura Uselli. Come dire: vi vediamo una volta e se la patologia è definitiva e degenerativa non vi chiamiamo più per tutta la vita. Ma il problema non è il numero delle visite, ma il modo e la prosopopea di chi è chiamato a valutare e i tempi – biblici – in cui le pratiche si muovono.
Quanti invece rinuncerebbero volentieri a quei 480 euro e al pass per il parcheggio pur di non dover portare con loro il fardello delle proprie disabilità? Crisi o non crisi, c’è da cambiare una mentalità e riportare al centro del nostro mondo gli uomini.
Troppe volte ho letto di 55.000 esodati, 50.000 ciechi o 75.000 disabili come se fossero un “pacchetto di figurine” da spostare di qua o di là nelle colonne dei bilanci a partita doppia. Di qua un costo, di là l’oblio, le lotte per venire a capo della burocrazia. Quei 55.000 esodati sono 55.000 famiglie che non hanno reddito. Ricordiamocelo.

Sempre nei commenti al testo di Bomprezzi si legge di persone, poi, a cui è stata tolta l’indennità di accompagnamento perché i documenti non sono giunti da un ufficio all’altro della Pubblica Amministrazione o per non essersi presentati alla visita di controllo, per poi scoprire che l’Ente incaricato si era “dimenticato” di invitarli. O di persone che in attesa che venisse riconosciuta la loro infermità sono passate a miglior vita. Errori e lungaggini che purtroppo capitano sempre più spesso e che lasciano le persone senza una piccola, ma fondamentale per alcuni, fonte di sostentamento.
Uomini non numeri significa riscoprire la dignità delle persone e le loro capacità. Significa dar loro la possibilità di sviluppare e utilizzare al massimo queste caratteristiche residue. Solo così – se si vuole continuare a giocare agli economisti e agli esperti di spending review – si possono spostare gli uomini dal lato dei bilanci dedicati ai costi a quello degli attivi, dei vantaggi per la società.
Perché come non ci stancheremo mai di ripetere, le persone con disabilità possono dare molto alla società, a patto di metterle in grado di partecipare – con la stessa dignità – al banchetto della vita civile.

Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Non diamo i numeri… pensiamo alle persone”.Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.

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