Specchio, specchio… se sei disabile non hai un reame

Ironico e sovversivo, rigoroso e stimolante, un recente saggio di Laura Corradi analizza il mondo della pubblicità, intrecciando le prospettive di genere anche con la disabilità e offrendo una bella “cassetta degli attrezzi” da utilizzare per comprendere e combattere le ingiustizie sociali e le discriminazioni attuate nei confronti delle persone con disabilità e in particolare delle donne che vivono questa condizione

Fabio Fiorese, "Sogno allo specchio"

Fabio Fiorese, “Sogno allo specchio”, olio su tela

Docente di Studi di Genere nell’Università della Calabria, in una recente sua pubblicazione (Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo, Roma, Ediesse, 2012), Laura Corradi analizza e decostruisce le immagini pubblicitarie, utilizzando l’analisi intersezionale, per svelare l’interconnessione dei diversi sistemi di dominio che queste sottendono e rafforzano.
Il libro – ironico e sovversivo, rigoroso e stimolante – è una ricerca scientifica, che nasce dalla didattica, e al tempo stesso un intervento politico che si propone di agire un cambiamento nella società. L’Autrice non si limita ad affrontare il tema dell’utilizzo improprio del corpo della donna nei media e nelle pubblicità, purtroppo di grande attualità dopo vent’anni di “berlusconismo. Mentre infatti discute le connessioni tra le variabili del prisma intersezionale classico (classe-razza-genere-età-orientamento sessuale), ci conferma che questo «approccio può aiutare a costruire alleanze inedite oltre, che a fare chiarezza all’interno di quelle tradizionali» (Corradi, p. 45).
In particolare, Corradi suggerisce e si propone di analizzare le pubblicità intrecciando genere e disabilità. La pubblicità, infatti, non è solo un mezzo per incitare all’acquisto compulsivo e per stimolare il consumismo nel sistema di mercato capitalista. Le immagini pubblicitarie ci colpiscono nel profondo, ci influenzano e ci condizionano. Avallano e rafforzano i modelli e gli stereotipi imposti dalle gerarchie dominanti, rendendoli persino attraenti agli occhi del soggetto dominato, che viene al tempo stesso sedotto ed escluso.

Per quanto riguarda in particolare le persone con disabilità, il messaggio è devastante. Nei media e nelle pubblicità esse semplicemente non appaiono, se non con qualche eccezione. E si tratta di prodotti espressamente destinati alle persone con disabilità oppure di campagne di sensibilizzazione e raccolta fondi.
Recentemente, ad esempio, in occasione della Giornata Mondiale sulla Sindrome di Down, in alcune pubblicità commerciali, gli attori degli spot originali sono stati sostituiti da attori con sindrome di Down [se ne legga ampiamente anche nel nostro sito, N.d.R.]. Iniziativa senza dubbio apprezzabile, ma che in fondo non riesce ad andare al di là dell’idea della campagna di sensibilizzazione. Nel mondo dorato delle “vere” réclame, dunque, la disabilità è invisibile, come e forse persino più della povertà, della vecchiaia, dell’omosessualità.
E per le donne con disabilità la discriminazione è duplice. Da una parte, infatti, la società patriarcale l’ha inchiodata in quanto donna a identificarsi con il proprio corpo, dall’altra in quella stessa società il corpo disabile maschile e femminile non ha rappresentazione. E il corpo femminile nelle immagini pubblicitarie è l’ideale di bellezza che queste propongono, «depotenziante per le donne in generale e rappresenta un insulto per le donne disabili, per le quali il messaggio è perentoriamente esclusivo» (Corradi, p. 32).

L’adozione della prospettiva di genere nella disabilità è importante perché consente di riconoscere la condizione di discriminazione multipla vissuta dalle donne con disabilità. Quest’ultimo concetto – che emerge dall’analisi intersezionale tra diverse variabili (genere, classe, età, razza, orientamento sessuale, età) – nasce negli Stati Uniti alla fine degli Anni Ottanta, all’interno di ambienti accademici culturalmente aperti e politicamente impegnati.

Laura Corradi

Laura Corradi insegna all’Università della Calabria

L’analisi femminista della doppia oppressione delle donne afroamericane e quindi dell’intersezione tra due sistemi di dominio – sessismo e razzismo – ha permesso di evidenziare che non sempre una discriminazione è riconducibile a un’unica dimensione e che una persona può appartenere simultaneamente a diversi gruppi sociali svantaggiati e soffrire di più forme specifiche di discriminazione.
In particolare, anche per quanto riguarda la connessione tra genere e disabilità, l’approccio intersezionale è ormai entrato a pieno titolo negli studi teorici – i cosiddetti disability studies e gli studi di genere, soprattutto in ambiente anglosassone – nelle strategie politiche di organismi internazionali e di organizzazioni non governative, nelle nuove forme di attivismo politico.
Le opportunità offerte da questo punto di vista sono notevoli, ma in Italia, solo recentemente, e ancora sporadicamente, genere e disabilità cominciano a essere considerati come concetti e prospettive da intrecciare. E ciò si deve da una parte alla chiusura di molti ambienti accademici rispetto a un paradigma nato all’interno dei movimenti femministi; dall’altra al fatto che non esiste in Italia un analogo dei disability studies, disciplina il cui aspetto essenziale è quello della partecipazione attiva delle persone con disabilità nel mondo accademico, soggetti e protagonisti e non più solo oggetti di studio e di intervento.
Nel contesto italiano, una riflessione sulla disabilità che non sia solo rivendicazione di diritti è a tutt’oggi prerogativa e privilegio di élite colte e politicizzate. La ragione del nostro ritardo nello sviluppo e nella diffusione di un pensiero della disabilità – imprescindibile strumento di supporto teorico all’azione – può essere trovata sia nella difficoltà a riconoscersi e organizzarsi come gruppo, sia nelle urgenze e nelle priorità dei movimenti e delle associazioni alle loro origini. Di fatto, ancora troppo spesso in Italia le persone con disabilità sono escluse dalla società, se non addirittura segregate e private di diritti umani fondamentali.

Come donna con disabilità e come componente della società civile, mi considero una «persona che si interroga sulla realtà circostante, sul potere che le immagini hanno nella nostra vita e su possibili percorsi di liberazione» (Corradi, p. 23), e credo che un importante merito di questa ricerca sia quello di aver individuato nel mondo delle immagini pubblicitarie un argomento che necessita una riflessione critica ad ampio spettro.
A mio parere, il grande pregio di questo libro è di essere un saggio scientifico e al tempo stesso divulgativo: divertente, chiaro e utile anche per i non specialisti. Personalmente ho trovato la lettura foriera di sollecitazioni e riflessioni: mi ha davvero offerto un’altra «cassetta degli attrezzi» (Corradi, p. 45) da utilizzare per comprendere e combattere le ingiustizie sociali.

Laura Corradi, Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo (con contributi di Marta Baldocchi, Emanuela Chiodo, Vincenza Perilli e Angela Tiano), Roma, Ediesse, 2012, 224 pagine, 13 euro.

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