Un modo lieve e incisivo, per far capire la discriminazione

Oltre cinquecento creazioni hanno partecipato alla seconda edizione di “Sapete come mi trattano?”, concorso promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che ha offerto a disegnatori, sceneggiatori e filmakers l’opportunità di rappresentare la discriminazione delle persone con disabilità. Un risultato che certamente costituisce un bel segnale. Se ne accorgeranno i media?

"Psicodramma" di Marco Fusi

La realizzazione intitolata “Psicodramma” di Marco Fusi si è aggiudicata il primo premio nella categoria delle vignette, al Concorso “Sapete come mi trattano? 2012”

Idea geniale e semplice, quanto complessa da realizzare, in un Paese che fatica a usare le armi dell’ironia e della leggerezza per raccontare il mondo in modo diverso, da un altro punto di vista. Ci ha pensato la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), con un concorso la cui premiazione è avvenuta al Senato, in un contesto dunque di grande dignità istituzionale.
Sapete come mi trattano? è il tema del concorso stesso e nel sito dedicato è possibile vedere le opere premiate, dopo una selezione durissima. Fatelo, vi divertirete, ma sarete anche costretti a pensare. Oltre cinquecento, infatti, sono stati i partecipanti, un bel segnale, se si tiene conto della difficoltà dell’argomento.

È il concetto di discriminazione a rappresentare un test difficilissimo per disegnatori, sceneggiatori, filmakers. È più facile, infatti, raccontare per immagini la palese violazione dei diritti, i casi estremi, le ingiustizie evidenti che riguardano il mondo della disabilità. Molto più delicato, impalpabile, ma fondamentale, scoprire come e quando scatta la discriminazione, quella banale, non dichiarata, ma proprio per questo feroce e dannosissima.
È il mondo dei cosiddetti “normali” che si organizza infatti a propria immagine e somiglianza, e costruisce barriere dove potrebbero non essercene. Fantastica la vignetta Psicodramma che si è aggiudicata il primo premio. Uno psicologo (ma sembra più lo studio di uno psicanalista) nella sua poltrona, occhiali scuri, blocco e matita in mano, riceve un “cliente a rotelle”. Gli rivolge la domanda classica: «Si stenda sul divano e mi dica perché è convinto che tutti ce l’abbiano con lei!». Ma quel lettino è altissimo e addirittura ci vuole una scaletta di tre gradini per raggiungerlo.
Insorgeranno gli psicologi e gli psicanalisti, ma l’ironia ci vuole e deve essere iconoclasta. Magari il lettino in genere non è così alto, ma i gradini all’ingresso di molti studi medici esistono eccome, e nessuno o quasi si pone nell’ottica che anche questa è di fatto una discriminazione. È infatti il concetto stesso di discriminazione a risultare ostico e difficile da comprendere anche per chi, in buona fede, crede di essere molto solidale con chi vive su di sé una condizione di disabilità e molto spesso si entra sul terreno insidioso delle barriere psicologiche e culturali, ossia in quella “terra di nessuno”, all’interno della quale le leggi sono poche e comunque quasi mai tenute in considerazione.

E dire che in Italia esiste una norma precisa, molto forte e cogente, scritta nella Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni): «Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga. Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti».
È legge, e ha già portato molti giudici in Italia ad accogliere le denunce dei Cittadini e a far cessare, anche attraverso il risarcimento pecuniario, il trattamento discriminatorio. Ad esempio nel campo dei trasporti pubblici urbani, o della scuola. Ma perché l’opera dei giudici non sia l’unico strumento di dissuasione, occorre davvero che cambi la cultura, che ci sia un modo lieve di far capire le cose, attraverso ad esempio le vignette, i video, le sceneggiature.
Una giuria importante di grandi nomi del mondo della comunicazione ha fatto il suo lavoro e i vincitori hanno visto riconosciute le loro capacità di interpretare il messaggio del concorso. Ma le loro idee troveranno spazio nei media?

Direttore responsabile di Superando.it. Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, appare anche in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Sapete come mi trattano? L’ironia ci salverà”.

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