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I positivi risultati di uno studio sulla SMA

Giacomo Pietro Comi

Il ricercatore Giacomo Pietro Comi è uno dei responsabili dello studio sulla SMA

Un passo in avanti per la ricerca sull’atrofia muscolare spinale (SMA, nota anche come amiotrofia spinale), una delle più diffuse malattie genetiche neuromuscolari, è stato compiuto, come si evince dalla notizia della scoperta scientifica che ha dimostrato l’efficacia delle cellule staminali pluripotenti indotte su modelli animali con la SMA, pubblicata il 19 dicembre scorso dalla prestigiosa rivista americana «Scienze Translational Medicine».
La sperimentazione è stata effettuata nei laboratori del Centro Dino Ferrari, che unisce i ricercatori dell’Università e della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano. Sostanzialmente gli studiosi sono riusciti a correggere in laboratorio delle cellule staminali ricavate dagli stessi pazienti colpiti da atrofia muscolare spinale. Queste cellule, differenziate in motoneuroni – cioè, proprio le particolari cellule danneggiate nella SMA – sono state impiantate su un modello animale malato, replicante la forma più grave della patologia nell’uomo, migliorandone sensibilmente i sintomi, con un aumento effettivo del 50% della sopravvivenza.
I risultati della ricerca – supportata principalmente da un progetto finanziato dalla Fondazione Telethon e dall’Associazione Famiglie SMA, attraverso la confederazione di SMA Europe – sono stati presentati il 20 dicembre all’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
I responsabili sono Giacomo Pietro Comi, capo del Laboratorio di Genetica nella Sezione di Neuroscienze del Dipartimento di Fisiopatologia e dei Trapianti e vicedirettore del Centro Dino Ferrari e Stefania Corti, primo autore della pubblicazione. Il gruppo, di cui fanno parte anche ricercatori del laboratorio di genetica e bioinformatica dell’IRCCS Eugenio Medea di Bosisio Parini (Lecco), ha focalizzato lo studio sulle cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte, la cui recente scoperta è valsa il Premio Nobel per la Medicina 2012 a Shinya Yamanaka. L’obiettivo era “riparare” il difetto genetico causato dalla malattia del paziente: per farlo, i ricercatori hanno aggirato il problema del gene difettoso, modificando un altro gene simile.

La SMA è causata da una mutazione sul gene SMN1 e si trasmette con modalità recessiva (causata cioè da un’alterazione presente in entrambi gli elementi della coppia di cromosomi): la mutazione del gene SMN1 riduce le quantità della proteina SMN, che a sua volta porta a una degenerazione dei motoneuroni, così come a una progressiva paralisi muscolare. Inoltre, l’atrofia muscolare spinale è la prima causa genetica di mortalità in età infantile e la prevalenza dei portatori sani nella popolazione è di 1/40, cifra ragguardevole che dimostra come non sia poi così tanto rara, come patologia genetica.
Purtroppo, ad oggi, non vi sono terapie efficaci per curare o rallentare la malattia, anche se la sperimentazione preclinica è molto avanzata. Le principali prospettive di intervento terapeutico sono basate sull’evidenza che nel DNA umano esista un altro gene molto simile, chiamato SMN2: la differenza sostanziale tra i due è di un solo nucleotide, ovvero di un singolo “mattoncino” che costituisce la lunga elica del DNA stesso.
I ricercatori del Policlinico di Milano hanno utilizzato un approccio di terapia genica basato su oligonucleotidi, ovvero piccole sequenze di DNA create in laboratorio, per modificare il gene SMN2 contenuto nelle cellule staminali e farlo funzionare come un gene SMN1 sano. I motoneuroni ottenuti dalle staminali ricavate da pazienti con SMA e non modificate, presentavano i segni della malattia, mentre quelli derivati dalle cellule corrette presentavano forma e funzioni simili a quelli delle cellule normali.

«Questo studio – commentano i responsabili dello stesso – dimostra la fattibilità del generare cellule staminali paziente-specifiche e di ottenere cellule altamente differenziate come i motoneuroni, che siano anche geneticamente corrette, aprendo nuove possibilità terapeutiche per la SMA».
La stessa metodica, inoltre, potrebbe essere impiegata anche per sperimentare terapie utili ad altre malattie neurodegenerative simili, come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). (Ufficio Stampa Telethon)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@telethon.it.

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