Il “Grazioso Paese” e le “Agenzie Predone”

«In un tempo triste, tanti ma tanti anni fa, il “Grazioso Paese” si trovò in balìa di un complotto atto a sovvertirne le modeste, sudate libertà, messo in opera da parte delle “Agenzie Predone”…»: comincia così la favola a lieto fine proposta da Giorgio Genta, dallo scenario medievale, ma dai contenuti sin troppo vicini ai tempi nostri…

Lucignano (Arezzo), Corteo Storico

Il Corteo Storico di Lucignano (Arezzo)

In un tempo triste, tanti ma tanti anni fa, il “Grazioso Paese” si trovò in balìa di un complotto atto a sovvertirne le modeste, sudate libertà. Un complotto messo in opera da parte delle “Agenzie Predone”, o meglio dai Generalissimi che all’epoca le presiedevano, i “settestelle” Capomastronatale e Timpesta, che miravano alla presa del potere non con violenze di piazza o di gruppi armati, ma tramite nefandi atti burocratici illeciti, politicamente non autorizzati dai Reggitori.
L’inizio fu subdolo: un’interpretazione restrittiva qua, una forzatura là, nessun controllore a protestare e a castigare. Allora presero coraggio, incrementarono l’arbitrio e la compressione dei liberi diritti dei “Graziosi” (come possono non esserlo gli abitanti del Grazioso Paese, per non parlar poi delle Graziose!?), specie di quelli che dipendevano dalle loro Agenzie per la Sopravvivenza.
Intanto si autoaumentavano il soldo, le prebende, le scorte di armigeri, fortificavano i loro manieri, dettavano legge agli atterriti Reggitori con velate minacce di controlli e indagini “torquemadesche”.

Anche i più retti crollarono: non era forse finito in seri guai (anzi capitali, direi) persino l’integerrimo Becket, in altri luoghi, per aver distrattamente accettato il dono di un calice, lui che possedeva l’unica chiave dei forzieri del re?
I due Generalissimi si accanirono ulteriormente verso i gruppi meno armati, anzitutto verso quelli armati solo di calamo e favella e spesso neppure di quelle. Cancellarono antichi benefìci, ridussero le erogazioni di pagnotte secche ai soli mercoledì piovosi del mese di agosto degli anni bisestili, limitarono a mezza misura di acqua leggermente inquinata i prelievi settimanali dal pozzo comune, sempre che naturalmente non avesse piovuto nelle ultime otto settimane.
Il popolo dei Graziosi assisteva inerte a una nuova forma di schiavitù: da una parte venivano sempre più assottigliate le già modeste rendite del Bene Comune, dall’altra gli esattori dello Sceriffo lo depredavano di tutto il depredabile.

Ma dopo avere atteso invano per lunghi anni che un nobile Principe o un rustico Capitano del Popolo restituisse libertà e dignità al loro Paese (i “Cavalieri” era meglio lasciarli dove stavano, cioè ad insidiar pulzelle o ad incrociar le lance in pittoreschi tornei. E lo stesso valeva per i Banchieri Fiorentini: stessero pure a contare i fiorini d’oro dei loro ben serrati forzieri, purché non allungassero i loro rapaci artigli sul Tesoro del Popolo!), Graziose e Graziosi insorsero, armati di stampelle di frassino e bastoni di rovere, rovesciarono i banchi dei cambiavalute, bruciarono gli odiati vessilli della Fame e della Povertà e tornarono ad essere quello che erano sempre stati: graziosamente liberi.

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