Campione prima, campione dopo

Da molti anni asso del baja, specialità motociclistica simile all’enduro, all’inizio del 2010 il piemontese Nicola Dutto ha subìto un incidente di gara che lo ha reso paraplegico. Tornato però alle competizioni dopo nove mesi di ricovero, è addirittura riuscito, lo scorso anno, a classificarsi ventiquattresimo, su quarantotto piloti, al Mondiale Baja, in Spagna, correndo insieme ai “normodotati”

Una bella immagine di Nicola Dutto

Una bella immagine di Nicola Dutto

«Quando sono in moto mi sento veramente libero e mi dimentico di essere paralizzato». Nicola Dutto descrive così le sensazioni che prova in sella alla sua moto.
Ha 43 anni, vive a Beinette in provincia di Cuneo, ed è un asso del baja, una specialità motociclistica simile all’enduro. È anche il primo pilota al mondo che gareggia in moto ad alti livelli, nonostante la lesione della settima vertebra dorsale. In passato era stato pluricampione europeo baja, oltreché pluricampione italiano e aveva conquistato piazzamenti prestigiosi sia in Messico che in California. Il 20 marzo 2010, poi, è caduto a Pordenone durante l’Italian Baja, tappa italiana dell’ Europeo, ed è rimasto paralizzato dall’addome in giù.
Dopo nove mesi di ricovero, è tornato alle competizioni in California, ma su un veicolo a quattro ruote, un Buggy Polaris RZR 800. Fisicamente era al top, ma non è riuscito a concludere la gara per problemi meccanici.
Il 22 luglio dello scorso anno, quindi, ha corso nel Mondiale Baja, in Spagna, classificandosi 24° su 48 piloti, in sella a una Suzuki, allestita con alcune semplici modifiche (un roll-bar di protezione per le gambe e i comandi al manubrio). «Ho corso da leone – racconta -, senza rendermi conto di non poter utilizzare le gambe. Per me gareggiare in moto è una cosa naturale, sono subito tornato a compiere dei movimenti che per me erano abituali, come se il tempo si fosse fermato e fossi tornato in sella dopo una “vacanza”. Fisicamente sto bene, ho sviluppato al meglio la parte superiore del corpo e ora non mi viene istintivo mettere i piedi a terra. In Spagna mi sono espresso al di sopra delle aspettative generali ed è stato molto importante perché un conto è correre “da pecora”, un altro è essere competitivi e lottare per piazzamenti importanti. Il pubblico è stato splendido, un delirio, mi ha incitato in modo straordinario. Durante una prova speciale, ho riso e pianto contemporaneamente dentro al casco, vedendo tanta gente che impazziva per me. Concludere quella gara è stata un’emozione indescrivibile. Tutti gli altri piloti si sono poi congratulati con me perché sapevano bene cosa avevamo affrontato».

Nella vita quotidiana le difficoltà non mancano. «Il problema principale – prosegue Nicola – non è quello di non poter muovere le gambe, ma di non poter fare dei programmi. Ad esempio mi preparo una tabella di allenamento con sessioni in palestra e altre in moto e poi rischio di dover rimanere a riposo, perché sono soggetto a frequenti infezioni alle vie urinarie basse, causate dai quattro/cinque autocateterismi che devo fare ogni giorno, non potendo ottemperare alle normali funzioni fisiologiche. Quando ho un’infezione sono ko e non posso certo andare in moto o allenarmi in palestra».
Ma dove trovi la forza – gli chiediamo – per superare tutte le difficoltà? «Mia moglie Elena è sicuramente una buona terapia. Lei mi ha sempre visto come un pilota e ha creduto che sarei potuto tornare a gareggiare anche quando sembrava impossibile. Caratterialmente, poi, sono molto determinato e abituato vedere il bicchiere mezzo pieno!».
Quali sono, ora, i tuoi traguardi sportivi per il 2013? «Quest’anno sono pilota ufficiale KTM Italia. Il mio obiettivo è ben figurare nelle gare mondiali a cui parteciperò: il primo giugno Baja 500 in California, il 20 luglio Baja España Aragon a Saragozza e il 15 novembre Baja 1000 sempre in California».
E quali invece le tue speranze in ambito medico? «La ricerca scientifica va avanti e sono certo che ci saranno degli sviluppi: cellule staminali, by-pass elettronici, esoscheletri… Se in futuro si presenterà l’occasione di risolvere il problema, sarò bene felice di farlo; però preferisco non coltivare speranze che potrebbero rivelarsi vane e non sottopormi a uno “shopping” medico infinito. Vivo la mia nuova condizione molto serenamente».

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