Gli odiati scalini e le culture dei popoli

«Ci sono attese obbligate – racconta Simone Fanti – come quelle dovute a rampe di scale invalicabili, che ho imparato a sfruttare nei miei viaggi, per osservare le persone che mi circondano, i loro gesti, le loro espressioni, la musicalità delle lingue sciolte, lontano dal via vai dei turisti. “Piccole cose” che anch’esse possono dare l’idea della cultura di un popolo»

Old Delhi, Moschea di Jama Masjid

Nella parte vecchia di Delhi, Jama Masjid è la più grande moschea dell’India

May I have a picture with you?, ovvero posso farmi una foto con te? Mai mi era capitato di ricevere tante richieste di foto come nel mio recente viaggio in India. A ben pensarci, devo essere apparso abbastanza strano agli occhi di molti (alcune di queste persone venivano dalla campagna, non erano mai uscite dal loro paese e non si erano mai imbattute in uno straniero): un uomo bianco con la barba seduto su una sedia a rotelle verde scintillante in alcuni luoghi dell’India, non credo si veda molto spesso.
A richiedermi per uno scatto soprattutto ragazzi giovani. Ne ricordo uno a Delhi, anch’esso su una sedia a rotelle a causa della polio, con cui ho potuto scambiare due chiacchiere. Ad accompagnarlo un gruppo di amici che gli facevano visitare la città. Veniva da Mumbai e si sentiva fortunato a poter vivere quell’esperienza, concessa a pochissime persone con disabilità in un Paese che ancora oggi è arretrato per quanto riguarda barriere architettoniche e accessibilità.
Gli altri ragazzi indiani facevano un clic, dicevano grazie e via. Per la prima volta mi sono trovato dall’altra parte dell’obiettivo. Noi turisti europei siamo abituati a strappare immagini alle persone dei Paesi che visitiamo, ma non sempre ricambiamo volentieri il favore se ci viene richiesto.
Sulle prime ero un po’ infastidito, mi sentivo un po’ come un “fenomeno da baraccone” da fotografare come fosse un “trofeo” da portare a casa agli amici. Invece era semplice curiosità, la stessa che ho io quanto catturo l’immagine di un viso straniero.

L’esperienza in India mi ha riportato alla memoria un altro episodio accaduto tre o quatto anni fa, mentre visitavo San Pietroburgo. Anche in quel caso mi sono ritrovato al centro dell’attenzione. Attendevo mia moglie fuori da una chiesa ortodossa, impedito ad accedere dai soliti e odiosi scalini, guardavo la gente passare, o forse leggiucchiavo la guida, quando mi si fanno vicine due ragazze che mi allungano alcuni rubli. Quando capiscono che sono un turista… si allontanano ridacchiando imbarazzate. Mi avevano scambiato per un mendicante? La scena si ripete in altri luoghi di San Pietroburgo e con una certa frequenza. Ero irritato. Solo dopo un po’ ho compreso meglio. Le persone che mi offrivano soldi mi avevano scambiato per un reduce di guerra. Ancora oggi sorrido figurandomi la faccia che devo aver fatto quel giorno.

Certo che ripensando a molti viaggi, mi accorgo di quante volte abbia atteso in fondo a una rampa di scale. “La vita è fatta a scale – dice un proverbio – c’è chi le scende, chi le sale”… e chi aspetta in fondo. Come me. Quando programmo un viaggio, sono consapevole fin dall’inizio che talvolta mi devo fermare davanti a rampe di scale invalicabili. Più il monumento è antico, più il Paese è arretrato, e maggiore sarà la possibilità che io resti bloccato. Aspetto che la mia compagna effettui la visita e intanto osservo. Tanti chilometri per rimanere ai piedi di una scala, ma ne vale la pena?
Troppo spesso si pensa al viaggio come a un susseguirsi di monumenti, di spettacoli, di cene pantagrueliche, tentando di spizzicare bocconi delle cultura di un popolo. Si pensa ai tour come a una corsa a premi: una “medaglia” per ogni sito storico visto. Un po’ come quelli che collezionano visti sul passaporto. In pochi si immergono tra la gente.
Ebbene, ho imparato a sfruttare queste attese obbligate e talvolta fastidiose, per osservare le persone che mi circondano. I loro gesti, le loro espressioni, la musicalità delle lingue sciolte lontano dal via vai dei turisti. Azioni, rituali personali, la quotidianità spesso lontana da quella che siamo abituati a vedere. Un’anziana che fa collane di fiori ai piedi dei templi, un venditore che mette a posto la merce sul bancone… qualche discussione tra la gente locale, o il via vai del traffico di tuk tuk, biciclette, scooter. Anche queste piccole cose possono dare l’idea della cultura di un popolo.

Il presente articolo viene qui riproposto, con alcuni riadattamenti al contesto, da InVisibili, blog del «Corriere della Sera», per gentile concessione. Il titolo del pezzo originale è “Quelle cento immagini tra Delhi e San Pietroburgo”.

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