Una “strana” Nota dell’Ufficio Scolastico Piemontese

“Strana” perché consentendo di trattenere gli alunni con disabilità nella scuola dell’infanzia, oltre il compimento del sesto anno, va contro i valori e le buone prassi dell’inclusione scolastica, che tante associazioni condividono da anni, oltre a mettersi in aperto contrasto con la normativa vigente. Vediamo almeno cinque buoni motivi perché quel provvedimento debba essere rivisto

Alunno con disabilità a scuolaSono almeno cinque i motivi fondamentali per cui riteniamo che debba quanto prima essere ritirata quella Nota recentemente prodotta dall’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte (Protocollo n. 2318/U dell’11 marzo 2013), sulla possibilità di trattenere alunni con disabilità nella scuola dell’infanzia, oltre il compimento del sesto anno di età. Vediamoli qui di seguito.

1. La Nota cita come fonte normativa del trattenimento la Circolare Ministeriale 235/75, che è un documento di molti anni anteriore alla Legge 104/92 e abissalmente lontana dalla Legge 53/03, relativa alla cosiddetta “Riforma Moratti”, che ha fissato il compimento dei sei anni di età per l’insorgenza dell’obbligo scolastico per tutti gli alunni, senza eccezione alcuna, neppure per quelli con disabilità. Conseguentemente, nessuna delle Circolari Ministeriali successive, sino alla più recente (96/12), prevede le eccezioni indicate nella citata 235/75, che deve appunto ritenersi implicitamente abrogata dalla Legge 53/03.

2. La Nota piemontese cita l’articolo 14, comma 1 della Legge 104/92, dove però si parla di tutt’altra materia e cioè di continuità educativa (che invece fa riferimento logico proprio alla prosecuzione tra un grado e l’altro di scuola) e della possibilità di una terza ripetenza, per adempiere all’obbligo scolastico entro il diciottesimo anno di età. Si tratta insomma di una norma che non riguarda assolutamente la scuola dell’infanzia, perché la terza frequenza della stessa classe concerne la scuola primaria e secondaria di primo grado.
E in ogni caso tale norma fu votata perché allora – nel 1992 – gli alunni con disabilità non potevano iscriversi alla scuola superiore, se non in possesso del diploma di licenza media, né potevano andare a lavorare, poiché per tutti i Cittadini italiani era possibile essere titolari di un rapporto di lavoro solo a partire dal sedicesimo anno di età. Si pensò quindi di colmare il biennio tra i 14 e i 16 anni con le ripetenze, mentre oggi ciò non serve più, dal momento che l’articolo 11, comma 12 dell’Ordinanza Ministeriale 90/01 consente anche agli alunni con disabilità, in possesso del semplice attestato, di iscriversi alle scuole superiori.

3. Sempre la Nota in esame cita anche il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 275/99, sull’autonomia scolastica, dove si parla di flessibilità delle classi in piccoli gruppi o in accorpamenti tra gruppi di alunni di diverse classi, ciò che però non ha nulla a che vedere con il trattenimento nella scuola dell’infanzia oltre l’inizio dell’età dell’obbligo scolastico.

4. L’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte – seguendo il cattivo esempio dell’analogo Ufficio della Lombardia – avrebbe potuto appellarsi all’articolo 114 del Testo Unico sulla Legislazione Scolastica, approvato con il Decreto Legislativo 297/94, dove si dice che eccezionalmente può essere autorizzato il trattenimento in caso di malattie gravi o di altri gravi impedimenti.
Ebbene, se qualcuno volesse intendere i termini sopra citati come disabilità, allora salterebbe tutta la logica dell’inclusione scolastica realizzata da oltre quarant’anni in Italia. Infatti, tutta la normativa si poggia sugli orientamenti psicopedagogici, secondo i quali occorre che gli alunni con disabilità al più presto possibile vengano coeducati in gruppi di coetanei, al fine di favorire la loro crescita negli apprendimenti, nella comunicazione, nella socializzazione, nelle relazioni, come espressamente recita l’articolo 12, comma 3 della Legge 104/92.
Se insomma un bimbo con disabilità viene trattenuto oltre il compimento del sesto anno, presso la scuola dell’infanzia, egli perde il contatto con il gruppo dei coetanei, con alcuni dei quali potrebbe invece proseguire in scuola primaria. Né vale, in tal caso, la certificazione dell’ASL, come dichiara la Nota piemontese; infatti, se la certificazione attesta che il bimbo con disabilità – suppongo intellettiva – ha dei ritardi rispetto ai coetanei, non sarà certo la coeducazione con bimbi più piccoli a stimolarne la crescita, anzi, dovrebbe valere proprio il contrario.
Qualora poi il bimbo abbia una grave malattia, come recita l’articolo 114 del citato Testo Unico, la normativa prevede l’istruzione a domicilio, purché sia diagnosticata l’impossibilità di frequenza della scuola per almeno trenta giorni (articolo 12, comma 9 della Legge 104/92) e in tal senso vi sono numerose esperienze di alunni con gravi disabilità che realizzano l’istruzione domiciliare tramite telefono, computer e videocamera, mantenendo i contatti continui con la propria classe di appartenenza, che è quella dei coetanei.
Né infine vale a legittimare il trattenimento la Delibera del Collegio dei Docenti, perché – come è noto e ribadito dalle Linee Guida Ministeriali per l’Integrazione Scolastica del 4 agosto 2009 – l’autonomia delle singole scuole è solo di natura amministrativa e deve quindi rispettare le norme primarie e quelle secondarie di carattere generale, come sono appunto le Circolari Ministeriali che – vale la pena ribadirlo – non hanno più consentito deroghe all’inizio dell’obbligo scolastico per gli alunni con disabilità, sin dalla Legge 53/03.

5. Sotto il profilo dell’opportunità amministrativa, è infine da rilevare che il trattenimento massiccio di alunni con disabilità nella scuola dell’infanzia legittimerebbe anche il trattenimento nella scuola primaria e secondaria di primo grado. Ciò, oltre a comportare notevoli complicazioni per la formulazione degli organici ministeriali, sia sotto il profilo del numero degli alunni per classe, sia sotto quello della nomina dei docenti per il sostegno, potrebbe impedire a molti ragazzi con disabilità – pervenuti al termine della terza media a 18 anni compiuti – di iscriversi alle scuole superiori, vanificando così la grande conquista della Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale, che invece quel diritto ha affermato. Infatti, la Sentenza 226/01 della Corte Costituzionale e le successive Circolari Ministeriali sulle iscrizioni prevedono che gli alunni con disabilità non in possesso del diploma di licenza media non possano iscriversi alle scuole superiori dopo il compimento del 18° anno di età.

Per tutto quanto detto, si invita quindi l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte – e il Ministero – a voler rivedere questa “strana” Nota, di taglio “permissivo”, riaffermando i valori e le buone prassi dell’inclusione scolastica che tantissime associazioni condividono da anni e che si vedrebbero disorientate da indirizzi ministeriali di questo tipo e in aperto contrasto con la normativa.

Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Responsabile del Settore Legale dell’Osservatorio Scolastico dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down). Il presente testo è il riadattamento di una scheda apparsa anche nel sito dell’AIPD.

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