Le qualità del “gene spazzino”

Certo, è ancora lontana l’applicazione clinica di scoperte come quella realizzata a Napoli al TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina), che dimostra il collegamento, nelle nostre cellule, tra la produzione di energia e lo smaltimento delle sostanze tossiche. E tuttavia tale ricerca conferma ulteriormente che dallo studio sulle malattie genetiche rare possono arrivare importanti ricadute anche per patologie molto più comuni

Andrea Ballabio

Andrea Ballabio, direttore del TIGEM di Napoli (Istituto Telethon di Genetica e Medicina)

Grassi e rifiuti cellulari in eccesso? A regolarne lo smaltimento ci pensa un unico gene, denominato TFEB. Infatti, in uno studio pubblicato dalla rivista scientifica «Nature Cell Biology», Andrea Ballabio e Carmine Settembre del TIGEM di Napoli (Istituto Telethon di Genetica e Medicina), hanno per la prima volta dimostrato come all’interno delle nostre cellule la produzione dell’energia e lo smaltimento delle sostanze “di scarto” siano strettamente collegati: una scoperta, questa, dal grande potenziale applicativo non solo nel campo delle malattie genetiche rare.

Il gene TFEB è stato descritto per la prima volta nel 2009, e successivamente, nel 2011, proprio dal team di Ballabio: sulle pagine dell’altra rivista «Science», infatti, i ricercatori partenopei avevano dimostrato come questo preciso segmento di DNA sovrintendesse alla produzione e al funzionamento dei lisosomi, gli organelli cellulari deputati allo smaltimento delle sostanze di scarto, per evitarne l’accumulo e i conseguenti effetti tossici.
Come spiega lo stesso Ballabio, che del TIGEM è il direttore, «grazie a questo processo, chiamato autofagia, la cellula funziona come un vero e proprio termovalorizzatore, che degrada le molecole già utilizzate e ormai inutili per ricavarne energia. Promuovere questo processo di pulizia potrebbe risultare molto utile nel caso di svariate malattie degenerative, molto rare come quelle da accumulo lisosomiale o la corea di Huntington, ma anche decisamente più diffuse come Parkinson, Alzheimer, aterosclerosi».

L’autofagia, poi, è anche un sistema che le cellule possono sfruttare in assenza di nutrienti: infatti, quando ci sono poche risorse a disposizione – ad esempio durante un digiuno prolungato – l’organismo sfrutta le proprie riserve endogene di energia, i grassi appunto.
Come spiega Carmine Settembre, primo autore del lavoro, «abbiamo dimostrato che TFEB gioca un ruolo da “direttore d’orchestra” anche nel metabolismo dei grassi quando l’energia scarseggia. È in grado infatti di mettere in moto il processo con cui la cellula “spezzetta” i lipidi e li converte dalla loro forma di deposito (che molti di noi ben conoscono, ahimè!), a quella immediatamente utilizzabile come fonte energetica. La controprova è venuta dagli esperimenti su due tipi di topi di laboratorio, con obesità indotta da una dieta molto ricca in grassi e con obesità di tipo genetico: abbiamo somministrato loro TFEB attraverso la terapia genica e pur non variando l’alimentazione di questi animali, abbiamo osservato che non aumentavano di peso e non sviluppavano diabete, né aumento del colesterolo e dei trigliceridi nel sangue, ovvero la ben nota “sindrome metabolica” che rappresenta l’anteprima delle malattie cardiovascolari. Questo significa che TFEB è riuscito a mimare quel processo che si verifica in caso di digiuno e che favorisce l’utilizzo dei grassi, evitandone l’accumulo».

«A scanso di equivoci – commenta Ballabio -, questo lavoro non vuole certo dimostrare che per prevenire l’obesità dovremo ricorrere alla terapia genica. Questa tecnica, che attualmente si sta rivelando molto promettente per diverse malattie genetiche altrimenti incurabili non si presta certamente ad applicazioni di massa. Piuttosto, abbiamo avuto la conferma di come stimolare TFEB faccia “star bene” le cellule e si possa quindi sfruttare per contrastare la degenerazione progressiva che si osserva in molte malattie, sia rare che molto comuni. Per questo siamo al lavoro per trovare le molecole più adatte a stimolarne l’azione in maniera controllata: in tal senso, sono migliaia le sostanze diverse che stiamo analizzando, grazie ai sofisticati macchinari che abbiamo a disposizione al TIGEM».
«L’applicazione clinica, insomma – conclude Ballabio -, è ancora lontana, ma questo lavoro conferma ancora una volta come dalla ricerca sulle malattie genetiche rare, quelle per cui il TIGEM è nato, grazie a Telethon, possano arrivare ricadute importanti anche per patologie molto più comuni». (Ufficio Stampa Telethon)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@telethon.it.

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