Ospedali Psichiatrici Giudiziari: né rinvii, né “trucchi”

Cosa sta succedendo, rispetto alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, che nei giorni scorsi il Parlamento ha deciso di rinviare al 1° aprile 2014? Che continua, secondo il Comitato Stop OPG, ad essere concreto il rischio di avere tanti piccoli “OPG regionali”, anziché tornare allo spirito originale della Legge 180, con la chiusura definitiva di ogni struttura che ancora si rifaccia alla vecchia logica manicomiale

Foto in bianco e nero di uomo con le mani sulla testaNei giorni scorsi il Parlamento ha approvato la Legge che fissa al 1° aprile 2014 la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), dove sono ancora internate più di mille persone delle quali centinaia sono rinchiuse “in proroga” e attendono finalmente di essere dimesse.
La nuova Legge precisa gli impegni di Regioni e ASL, ovvero l’obbligo della «presa in carico (dei malati) all’interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale, nonché a favorire l’esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario»,  come prevedono anche alcune Sentenze della Corte Costituzionale.
Sempre la nuova Legge stabilisce poi che il Governo, entro sei mesi, riferisca in Parlamento sui programmi regionali per superare gli OPG. In particolare, si dovrà verificare «il grado di effettiva presa in carico dei malati da parte delle ASL/Dipartimenti Salute Mentale) e del conseguente avvio dei programmi di cura e di reinserimento sociale».

Ma cosa sta succedendo in realtà? Alcune Regioni (ad esempio la Lombardia, ma non solo) hanno presentato programmi finalizzati in prevalenza all’apertura di strutture residenziali “speciali, dove eseguire la misura di sicurezza: rischiamo, quindi, di ritrovarci con tanti piccoli manicomi regionali (i cosiddetti “mini OPG”) e che queste strutture “speciali, anziché essere residuali, diventino la soluzione principale, il nuovo OPG, aprendo tra l’altro seri problemi circa l’eventuale utilizzo, del tutto improprio, di personale sanitario dei Dipartimenti di Salute Mentale in funzioni anche “detentive”. Invece i programmi regionali devono, come dice ora la legge, «favorire le dimissioni e l’esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in OPG».

A questo punto spetta al Ministero della Salute valutare i programmi regionali e in tal senso abbiamo chiesto un incontro urgente al Ministro Lorenzin. Dal canto nostro, durante l’iniziativa del Viaggio di Marco Cavallo, stiamo dicendo che chiudere gli OPG significa fare buona assistenza nel territorio per la salute mentale per tutti i cittadini, come stabilì la Legge 180 e come è successo dove i servizi di salute mentale sono visibili, attraversabili e vicini. Ovvero con la “presa in carico” delle persone e dei loro familiari, con Centri di Salute Mentale accoglienti, aperti ventiquattr’ore e integrati con i servizi comunitari del territorio, con la progettazione di forme abitative sostenute, di formazione al lavoro e di inclusione lavorativa e sociale.

Sappiamo che per abolire definitivamente la logica manicomiale – cioè un trattamento speciale per i “folli autori di reato”, diverso da quello usato verso i “cittadini sani” – bisogna cambiare il Codice Penale. Ma intanto oggi si possono superare gli OPG e scongiurare l’apertura al loro posto di “mini OPG”. E proprio oggi serve richiamare lo “spirito originale” della Legge 180 che, chiudendo i manicomi, restituì dignità e cittadinanza alle persone malate di mente, e rese migliore l’Italia.

Per il Comitato Stop OPG.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: info@stopopg.it.

Il Comitato Stop OPG è un organismo voluto da numerose organizzazioni del Terzo Settore, oltreché sindacali, impegnate per l’abolizione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Tra le sue iniziative vi è anche il Viaggio di Marco Cavallo, basato sulla visita ad alcune delle strutture da eliminare, che prende il nome dal noto cavallo azzurro che quarant’anni fa sfondò il muro di cinta del manicomio di Trieste, ove operava Franco Basaglia, diventando da allora simbolo di libertà e di speranza.

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