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Dei diritti e delle pene

Cesare Beccaria

L’illuminista Cesare Beccaria, della cui più celebre opera (“Dei delitti e delle pene”), viene qui parafrasato il titolo

Dorma il Beccaria il meritato sonno del “pensatore illuminato”, mentre noi parafrasiamo il titolo della sua maggior opera e lo utilizziamo per richiamare l’attenzione dei Lettori su quello che riteniamo un tema di  grande interesse: l’individuazione degli ostacoli che si frappongono alla corretta fruizione dei diritti da parte delle persone con disabilità e la ricerca delle azioni atte a rimuoverli.
Per vastità, complessità e articolazione, tale tema ben si presterebbe a una trattazione di carattere enciclopedico e monografico a un tempo, un libro, insomma, e di non piccole dimensioni. Affrontare infatti l’argomento in poche pagine – e possibilmente con competenza, precisione e completezza – è impresa ardua e inadatta alle forze di chi scrive, che tuttavia tenterà – armato solo della sapienza esistenziale delle “famiglie con disabilità” – di assolvere l’impegno al meglio delle sue capacità: accontentatevi del possibile.

Da molti anni si ritiene la legislazione italiana in tema di disabilità essere all’avanguardia. L’affermazione, per altro, non risulterebbe veritiera, se non in alcuni particolari settori, ad esempio in quello relativo all’inclusione scolastica. Ma il vero spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, oltre naturalmente alla Legge Quadro 104/92, è costituito, a nostro parere, dalla normativa antidiscriminatoria insita nella 67/06, Legge a tutt’oggi stranamente ancor poco utilizzata, sebbene quasi sempre con successo.
Non me ne vogliano avvocati, giudici e legislatori se invado cautamente e senza titolo alcuno, un campo che la prudenza vorrebbe a me precluso, ma quanti tra noi comuni cittadini sanno che il diritto al trasporto di uno studente minore con disabilità è un «diritto soggettivo perfetto» (Sentenza del Tribunale di Modica, in provincia di Ragusa, n. 575/10), quale attuazione della garanzia costituzionale del diritto allo studio?
La morale di quanto sopra è nell’antico assioma Ignorantia legis non excusat, qui perversamente tradotto in «Chi non conosce la legge non ne utilizza la tutela». L’ignoranza, quindi, come prima causa della mancata fruizione dei diritti delle persone con disabilità. Ignoranza in senso lato e ignoranza nel campo specifico. Se infatti il livello di istruzione delle persone con disabilità è migliorato considerevolmente negli ultimi decenni, resta tuttavia ancora un forte divario percentuale, soprattutto nell’istruzione superiore e universitaria tra persone con o senza disabilità.
Alcune benemerite associazioni – prima fra tutte la LEDHA (Lega per i Diritti delle persone con Disabilità) – tutelano i diritti delle persone con disabilità e numerosi giuristi sono specializzati a vario titolo nel settore. Basti ricordare (non si offendano i “dimenticati”, è ben nota la mia scarsa memoria!) nomi come quelli di Nocera, Giacobini, Cendon, Voirano o Amoroso.

Che poi la povertà costituisca un ostacolo alla fruizione dei propri diritti è cosa nota dalla notte dei tempi, di quei tempi nei quali il povero non aveva alcun diritto, spesso neppure quello di vivere.
Molto si è scritto sulla correlazione tra disabilità e povertà, perverso e complesso intreccio di causa e di effetto, argomento che oggi torna prepotentemente alla ribalta con l’acuirsi della crisi economica, che colpisce duramente i più poveri tra i poveri: le persone con disabilità. Qui però, anziché riconoscere l’esistenza di fatto di una “soglia di povertà” più elevata per queste ultime, lo Stato permette che alcune sue agenzie o istituti eludano lo spirito e la sostanza delle Leggi, dando luogo ad attuazioni perverse di Regolamenti e Circolari, appropriandosi delle facoltà del Parlamento e del Governo. In tal modo si impedisce che lo spirito della Legge protegga i destinatari naturali dei provvedimenti nati soprattutto per la loro tutela, si svilisce la Carta Costituzionale nell’applicazione dei suoi princìpi fondamentali e si rigetta la stessa Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, recepita e fatta propria dallo Stato Italiano [Legge 18/09, N.d.R.].

Bilancia della Legge con piatti della stessa che piangono

«Cittadini e legislatori – scrive Genta – sono costretti a un eterno conflitto tra leggi, interpretazioni, giudizi e pronunciamenti»

Un altro fattore che influenza non poco la fruizione del buon diritto è quello dell’età. Mentre infatti la normativa offre – almeno sulla carta – considerazione e comprensione per la disabilità in età pediatrica e ultrasessantacinquenne, assai meno protegge la famigerata “età di mezzo”, che per le persone con disabilità sembrerebbe estendersi innaturalmente dai 18 ai 65 anni! E anche la protezione della prima e dell’ultima età è relativa: basti pensare, per rendersi conto dell’incongruenza del sistema, che moltissime statistiche sulla disabilità non tengono conto dei bambini al di sotto dei 6 anni e che assistiamo al “miracolo” di quelle persone con disabilità che allo scoccare del sessantacinquesimo anno di età non sono più disabili, ma semplicemente “ultrasessantacinquenni”.

Consideriamo ora una causa “specifica” che spesso rende particolarmente difficile la fruizione dei propri diritti: la difficoltà di comprensione e di comunicazione – intese nei due sensi! – e la ridotta o nulla mobilità.
Figura giuridicamente (e modernamente) preposta alla risoluzione, o almeno alla riduzione, di queste difficoltà è l’amministratore di sostegno, che appunto sostiene o supplisce la persona con disabilità intellettiva, relazionale o motoria nell’utilizzo della normativa a lei dedicata e non solo in quella.
E ancora: le amministrazioni centrali e periferiche, gli enti, gli istituti, le agenzie ci mettono del loro per rendere sempre più aleatoria la vicinanza dei luoghi e della macchina burocratica alle persone con disabilità. Si dotano di regolamenti attuativi farraginosi, non dispongono di adeguati ausili informatici, non preparano il personale specifico in maniera adeguata, non adottano corsie specifiche che annullino le difficoltà di accesso e di fruizione dei servizi, non forniscono servizi adeguati alle necessità dell’utenza con disabilità.

Un punto, poi, particolarmente dolente è quello dell’inadeguatezza e della mancata preparazione specifica del personale assistenziale, sociosanitario e sanitario. Servizi di assistenza domiciliare svolti (per motivi di economicità o per ristrettezze di bilancio) da personale non qualificato, servizi sociali non all’altezza del loro compito e che talvolta complicano anziché semplificare l’esistenza delle persone con disabilità (il rapporto non buono con i servizi è ad esempio la circostanza più temuta dai caregiver familiari), personale sanitario inadatto e impreparato a valutare e a curare le patologie complicate dalla disabilità: questi i punti umani dolenti che aggiungono peso, talvolta in quantità drammatica, al piatto sbagliato della bilancia della Giustizia.

Della discriminazione come tale, si è trattato in precedenza parlando della Legge 67/06: è un reato, la persona con disabilità discriminata può e dev’essere risarcita per il danno subìto e la causa di discriminazione dev’essere rimossa.
Esistono per altro forme sottili di discriminazione che albergano più nei cervelli “chiusi” che nella società aperta. In essi la discriminazione è mascherata sotto sembianze economiche e talvolta persino di “protezione” (esempio classico: alcuni giochi di Gardaland, ritenuti “insicuri” per certe persone con disabilità). Non devono e non possono esistere scusanti a tali comportamenti: vanno rimossi, insieme alle dottrine o alla pavidità di pensiero che li genera.

Persona con disabilità a uno sportello

«Amministrazioni centrali e periferiche, enti, istituti, agenzie ci mettono del loro per rendere sempre più aleatoria la vicinanza dei luoghi e della macchina burocratica alle persone con disabilità»

In relazione poi alle problematiche causate dalla scarsità o dall’abbondanza, dall’incongruità o dalla strabordante proliferazione della legislazione del Bel Paese, in relazione alle persone con disabilità – che sono poi cittadini come tutti gli altri e come tutti soggetti al peso e al sollievo della legge – le cronache sono ricchissime di esempi emblematici.
Se il nostro fosse un Paese normale, se l’etica e la politica che ci governano – o meglio che “non ci governano” – fossero cose più serie, non si avrebbe alcuna necessità di una legislazione specifica sulla disabilità. I diritti e i doveri dei cittadini sono chiari, la Carta Costituzionale li porta impressi indelebilmente e tutto il resto sarebbero chiacchiere inutili. Ma, ahimè, così non è. Secoli e secoli di sottigliezze dottrinarie – e pure la Chiesa ci ha messo del suo! -, di astuzie rinascimentali, di amore per l’interesse particolare e di disinteresse per quello pubblico costringono cittadini e legislatori a un eterno conflitto tra leggi, interpretazioni, giudizi e pronunciamenti. Il tutto aggravato dall’“istrionismo” di leader politici che promettono “freschi laghi nel deserto” e inesistenti “isole tropicali” in un oceano sterminato.

Si può dire in ogni caso che – fatti salvi i princìpi generali – nello specifico non esiste alcuna tutela dei caregiver familiari, che le persone con disabilità gravissima sono soggette ad altalenanti restrizioni reddituali, che l’ISEE [Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.] minaccia la sopravvivenza fisica delle “famiglie con disabilità”, che la Cassazione ribalta, a distanza di pochi anni, i giudizi sulla disabilità e che persino la Corte Costituzionale sembra talvolta contraddirsi. Cosicché la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, pur Legge dello Stato, come si è detto, resta una bella copertina a colori di un libro in gran parte ancora da scrivere.

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