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Perché lo sport paralimpico non può perdere i suoi valori

Nazionale Italiana Calcio Amputati

La Nazionale Italiana Calcio Amputati

«Nel bene e nel male, profondamente uguali”: è una frase che pronunciò  tempo fa Luca Pancalli, presidente del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), quando gli chiesero un parere dopo un caso di doping. In questo caso il doping non c’entra, ma il commento vale lo stesso. Le immagini, infatti, della rissa nella gara di calcio di giocatori amputati che usano le stampelle, tra le squadre di Belgio e Olanda, mostra il lato brutto dello sport. Non quello bello della foto qui a fianco pubblicata, che mostra la Nazionale italiana di questa disciplina, quello invece dell’esasperazione dell’agonismo, della vittoria sopra ogni cosa, dell’aggressività invece del divertimento. C’è anche nello sport paralimpico. Non deve sorprendere. Ma neppure pensare che sia la regola, come accade nello sport “olimpico” (brutte queste divisioni, ma rendono l’idea).

Ricordo un giorno quando Tanni Grey-Thompson, una delle più grandi dell’atletica in carrozzina paralimpica, oggi commentatrice per la BBC, disse pressappoco: «Meglio lasciare staccata la Paralimpiade dall’Olimpiade, non voglio che alcuni disvalori olimpici rovinino i molti valori paralimpici». Lo disse perché in genere, quando si pensa allo sport paralimpico, lo si ritiene come più “sano” o “pulito”. In buona parte è vero. Chi lo frequenta o lo ha frequentato lo sa. Ma questo non vuol dire che sia fuori dalla realtà. Lo sport è dentro quest’ultima, ma non deve venir fagocitato da ciò che di negativo questo può essere portatore.

Qualche settimana fa abbiamo scritto su queste stesse pagine della prima partita internazionale della Nazionale Italiana Calcio Amputati – quella appunto della foto qui a fianco pubblicata – persa per 5-2 contro la Francia ad Annecy, senza fare risse. Quella squadra è stata voluta dalla passione di un ragazzo, Francesco Messori, nato senza una gamba e senza la possibilità di usare una protesi. Ama il calcio, ma giocava con persone con entrambe le gambe. Fondò un gruppo su Facebook, lanciando un semplice messaggio: «Chi usa le stampelle e vuole giocare a calcio con me?».
Potenza del social network prima e del CSI (il Centro Sportivo Italiano, che prese a cuore Francesco e la sua idea) poi, ora esiste una squadra. Meravigliosa, per chi ha avuto occasione di vederla giocare o starci un poco assieme: amicizia, solidarietà, passione, rispetto dell’avversario. I valori dello sport.

Nel dicembre scorso, scoppiò una rissa fra tifosi/teppisti a Istanbul nel derby di basket in carrozzina fra Besiktas e Galatasaray (se ne veda il video in «Gazzetta dello Sport.it»). La partita è stata prima ritardata di circa mezz’ora, poi interrotta per gli scontri, con – pare – anche lancio di carrozzine... In internet si trovano diversi resoconti. È la prima volta che accade, a mia memoria, e comunque in queste dimensioni.
Purtroppo sembra stia avvenendo quel che profetizzò Grey-Thompson. Credo non ci sia da commentare dicendo semplicemente «beh, lo sport paralimpico è diventato popolare». Affermare invece i valori paralimpici di accoglienza, riconoscimento del limite, impegno nel rispetto, apertura a tutti, ognuno con le proprie capacità: questo è importante.
Quel che è successo nella partita di calcio con le stampelle o in quella rissa in Turchia è solo l’ennesimo, triste, tentativo di scimmiottare uno sport sbagliato e che fa male.

Mentre per altro a Istanbul succedeva questo, al PalaFamila di Barruccana di Seveso, hinterland “molto hinterland” milanese, nel cuore della Brianza, con temperatura sotto lo zero, c’erano quasi mille persone per assistere a Unipol Briantea 84 contro Santa Lucia Roma, finale del Campionato di Basket in Carrozzina, vinto dalla squadra di Cantù. E capita spesso nelle serate brianzole. Grazie a una Società come la Briantea (con le intuizioni e l’entusiasmo del suo presidente Alfredo Marson), che sa coltivare lo sport paralimpico e i suoi valori e diffonderlo sul territorio, andando per esempio ogni settimana nelle scuole a parlarne, coinvolgendo le aziende, mostrando quanto sia utile e divertente.
E ancora, mentre in Belgio giocatori e spettatori venivano alle mani, la Nazionale di calcio con le stampelle giocava sorridendo a Monte San Pietro, vicino a Bologna, a HappyHand, bell’evento dove centinaia di persone si riuniscono per divertirsi con lo sport, paralimpico e no. Ecco, quella è l’Italia bella da mostrare. E spesso non ce ne accorgiamo.
Le immagini della rissa in Belgio o dei teppisti di Istanbul stridono con Francesco e i suoi amici calciatori senza una gamba (non è un meraviglioso paradosso, di quelli straordinari dello sport paralimpico?) oppure con l’Italia che funziona di Marson, dei suoi collaboratori, dei suoi atleti, della sua gente.

P.S.: è importante però fare un inciso riguardante la Turchia. La rissa di Istanbul andrebbe valutata con una giusta lettura: in quella città, infatti, proprio per evitare episodi del genere, nel calcio, bel basket e in altre discipline è vietato l’ingresso ai tifosi ospiti. I teppisti però uno sfogo devono averlo. E così hanno scelto un luogo dove si può entrare con facilità: il basket in carrozzina. Quel che è accaduto c’entra poco con lo sport e con lo sport paralimpico in particolare. Ma fa comunque pensare.

Il presente testo è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Quella rissa con le stampelle. Se lo sport paralimpico perde i valori” e viene qui riproposto – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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