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Bambini e disabilità, una faccenda culturale

Disegno con bambini di varie etnie, insieme a una bimba in carrozzinaA volte non sappiamo cosa fare, di fronte ad alcuni comportamenti per altro perfettamente sani dei bambini. Succede, ad esempio, quando i piccoli incontrano qualcuno con caratteristiche differenti da quelle per loro normali. Le vacanze qualche volta ci costringono a una socializzazione forzata con persone sconosciute. Questo, però, potrebbe essere anche un momento utile per insegnare ai bambini che le persone possono funzionare in tanti modi differenti.
Prendendo spunto, quindi, dall’articolo di Lelio Bizzarri, L’incontro dei bambini con la disabilità, apparso su queste stesse pagine, ho ripensato a quante volte ho osservato genitori in difficoltà per non sapere cosa fare o cosa dire, in presenza di persone con disabilità, oppure anziane, che in qualche modo manifestavano imperfezioni.
Come ha fatto notare il collega, non è necessario parlare ai bambini, per far apprendere loro che la persona che stanno osservando ha qualcosa di “negativamente speciale”, da tenere alla larga, oppure che non si possono fare troppe domande. La verità è che a volte noi non sappiamo come rispondere, imbarazzati, temiamo che i bambini possano essere danneggiati, turbati, spaventati da un incontro imprevisto e magari anche un po’ fuori dagli schemi.

Io ho viaggiato molto, spesso anche in Paesi lontani, con culture profondamente diverse dalla nostra. L’atteggiamento delle persone verso i disabili è molto vario, e dipende da quanto la società sia abituata a tollerare – e spesso a fare dolorosamente i conti – con l’imperfezione umana, la malattia, la vulnerabilità.
In quelli che oggi si usano definire Paesi in via di sviluppo, le persone hanno un atteggiamento molto più tranquillo e accettante rispetto alla disabilità. Probabilmente l’unico stupore che la conoscenza della mia persona generalmente provoca dipende semplicemente dal fatto che in questi Paesi le persone con disabilità non rivestono ruoli sociali tali da potersi permettere viaggi. Quindi le domande, per altro assolutamente scevre da qualsiasi imbarazzo, hanno quasi sempre riguardato quale mestiere facessi, se fossi andata a scuola, e come avessi imparato a leggere, e ciò ovviamente a causa della mancanza quasi totale di legislazioni inclusive. Ma per quanto riguarda la capacità di comprendere, tollerare e adattarsi al funzionamento diverso di una persona con una patologia fisica, io non ho mai avuto interlocutori a disagio o che manifestassero sconcerto o stupore per le mie difficoltà visive. Anzi, più sono stata in contatto con le varie culture locali, e più ho potuto sperimentare quanto – per adulti e bambini – sia assolutamente scontato che il corpo non è perfetto, che nessuna persona è invulnerabile, che esistono malattie non guaribili, che l’efficienza della salute è più un’eccezione astratta che la regola.

Ho sempre riflettuto su questo approccio profondamente diverso alla disabilità, che ho potuto riscontrare fuori dall’Europa, e in generale lontano dal Nord del mondo. Dove le persone convivono con il fatto che la salute è qualcosa di precario e che esistono molti motivi per essere persone con disabilità – non ultimo il caso -, gli incontri riescono ancora ad essere a prescindere…
Molti anni fa, ad esempio, una signora papuasa, con il suo tintinnante disco labiale, camminava davanti a me indicandomi acusticamente il sentiero per andare dal medico. Nessuna lingua avevamo in comune, ma la capacità empatica le fece intuire che una persona cieca può seguire un suono. E ancora, una minuscola bambina indonesiana, pochi mesi fa, mi prese la mano per farmi toccare il corpo di un giovane varano che aveva appena catturato, avendo ben cura di farmelo approcciare dalla parte opposta rispetto alla testa dell’animale, perché intuiva che non avrei potuto reagire a un suo repentino movimento.
Dunque potremmo essere più sereni negli incontri, giacché è frutto di un bagaglio acquisito l’atteggiamento e la reazione emotiva dei bambini al contatto con la disabilità. Si tratta di sovrastrutture culturali che possiamo senz’altro modificare. Possiamo insegnare ai nostri bambini, attraverso l’esperienza diretta, che le persone sono in tanti modi diversi, e che basta conoscerle per imparare ad adattarsi nell’interagire con loro. Il nonno che ha bisogno dei pannoloni, la zia che non ricorda più chi è, il ragazzo dell’ombrellone accanto con un volto strano, il bimbo che non sente…
Attenzione, però, non si tratta di inculcare alcuna forma di “buonismo sociale”. Essere in grado di comprendere e di adattarsi alla diversità, è infatti una competenza sociale preziosa per i nostri figli, perché li rende più capaci di trovare soluzioni nuove per interagire con le persone. Contribuisce alla formazione di schemi di pensiero e categorie più flessibili, costringe a trovare nuovi comportamenti per affrontare situazioni.
Insomma, i bambini che sono abituati ad avere a che fare con persone “speciali”, hanno un’occasione per diventare socialmente più intelligenti.

Psicologa, psicoterapeuta, persona con disabilità visiva.

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