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Attendendo l’“omino dell’ascensore”

Stazione della metropolitana di Rebibbia a Roma

La stazione della metropolitana di Rebibbia a Roma

Mara, 67 anni, esce da casa spingendo la sua carrozzina. Con lei c’è Maurizio, l’assistente del Comune di Roma che la aiuta ad evitare buche, marciapiedi rotti e pali della pubblicità che impediscono il passaggio. È una mattina come tante, c’è il sole, siamo nel V Municipio della Capitale e sono le 9,30 quando arriva alla stazione della metropolitana di Rebibbia. «Adesso inizia il bello», dice sorridendo. E con rassegnazione va verso il “gabbiotto”, il box all’ingresso a disposizione del personale della stazione.
«Scusi – domanda Mara alla giovane ragazza là presente -, devo prendere l’ascensore, ma è spento, può metterlo in funzione?». «Signora, aspetti, cerco di rintracciare qualcuno». Inizia così la ricerca del cosiddetto “omino dell’ascensore”, l’unico che può azionarlo. Il personale presente in stazione, infatti, non ha il compito di gestire il servizio che è affidato ad un addetto. Quest’ultimo è costretto a spostarsi di stazione in stazione ogni volta che qualcuno ha l’urgenza di prendere l’ascensore. Dopo dieci minuti di tentativi, si arrende: «Non c’è nessuno disponibile, mi hanno dato il permesso di accompagnarla». Chiude il “gabbiotto”, prende le chiavi dell’elevatore e lo mette in funzione. Nel frattempo, però, la stazione di Rebibbia rimane sguarnita. Se dovesse succedere qualcosa, non c’è nessuno a vigilare.
Gli ascensori, che pure sono presenti e funzionanti in quasi tutte le stazioni della linea B, vengono lasciati disattivati per tutta la giornata. Se infatti si dovessero bloccare, magari con qualche persona dentro, con la carenza di personale che c’è, l’emergenza non potrebbe essere gestita facilmente. «Oggi – dice Mara – siamo stati fortunati, di solito aspetto quasi un’ora». «Se la prossima volta viene e non trova nessuno – si sente rispondere – chiami i Carabinieri: è l’unica soluzione. Noi non possiamo fare niente».

Quando aveva tredici mesi, Mara si è ammalata di poliomielite e da allora non può camminare. «Ogni giorno lotto per dire al mondo che noi disabili abbiamo gli stessi diritti degli altri», afferma. «Posso uscire di casa solo quattro volte a settimana per quattro ore al giorno con l’assistente del Comune. Chi si può muovere liberamente non immagina cosa significhi avere solo sedici ore di libertà. Ma ogni volta finisce che metà del tempo lo trascorro ad aspettare l’ascensore», racconta sconfortata. «Da quando poi è entrata in funzione la linea B1, la situazione è peggiorata: infatti, gli ascensori della stazione di Ponte Mammolo, quelli di Santa Maria Del Soccorso, di Quintiliani sono sempre chiusi. A Monti Tiburtini è in funzione solo la mattina fino alle 11, poi l’addetto se ne va. A volte mi è capitato di rimanere bloccata in galleria».

Mara nella sua vita non ha mai perso il sorriso. «Sono stata molto fortunata. Ho sposato un uomo meraviglioso, anche lui in carrozzina. Ci siamo amati tanto, ora non c’è più. Vivo con la mia mamma di 91 anni. Ho fatto decine di operazioni, mi hanno riempito di ferro. Sono una specie di “donna bionica”», racconta, mentre scende alla stazione di Santa Maria del Soccorso e con Maurizio si dirige verso l’ASL del IV municipio. Deve cambiare il busto e il tutore che le permettono di stare dritta.
Di ritorno dalla ASL, Mara è pronta per ripetere la lunga trafila di chiamate alla ricerca dell’“omino dell’ascensore”. «A volte sono costretta a prendere l’autobus, ma alcuni non hanno la pedana per i disabili e non posso salire».
Quando arriva alla stazione di Santa Maria del Soccorso sono le 11.15 e incontra due guardie. «Signora, noi siamo qui per caso, stavamo facendo un giro di ricognizione», ammettono. E inizia il solito calvario. «Il personale non c’è, l’ATAC [Agenzia del Trasporto Autoferrotranviario del Comune di Roma, N.d.R.] è in passivo e non può assumere. Potete trovare qualcuno solo a Rebibbia e a Laurentina oppure nelle grandi stazioni come Tiburtina e Termini», dice la guardia. Mara ascolta e poi esclama con sconforto: «Ma io che prendo la metro per andare dal medico, come devo fare?». Nessuno risponde.
Dopo mezz’ora, finalmente, arriva l’addetto con le chiavi dell’ascensore. Pochi istanti e Mara può tornare a casa. Oggi ha passato quaranta minuti in metropolitana, quaranta minuti tolti alle sue quattro ore di libertà giornaliera. Una “follia” che la accomuna a moltissime persone con disabilità: qualche giorno prima, ad esempio, sempre alla metà di luglio, una di queste ha bloccato per protesta per alcuni minuti la metro di EUR Palasport. Per l’ennesima volta aveva trovato l’ascensore chiuso. (Maria Gabriella Lanza)

Testo già pubblicato da «Redattore Sociale.it» e qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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