Situazione indegna di una città come Torino

Considerando che la nuova Stazione di Torino Porta Susa è stata inaugurata nel gennaio di quest’anno e presentata come un “fiore all’occhiello”, che «collega Torino all’Europa», ci sarà qualcuno che vorrà replicare al dettagliato racconto di un nostro Lettore con disabilità, che in quella Stazione ha registrato invece, solo qualche giorno fa, una situazione drammaticamente carente sul piano dell’accessibilità e dell’informazione?

Nuova Stazione Porta Susa di Torino

Un’immagine della nuova Stazione Porta Susa di Torino

«È possibile – ci scrive Antonio da Torino – che in una domenica pomeriggio di settembre inoltrato, alla nuova Stazione Porta Susa di Torino, scintillante di modernità, aspirante al primato cittadino sull’antica blasonata Porta Nuova, non funzionino gli ascensori? E che non vi sia modo, ad esempio per una persona in carrozzina, né di accedere alla stazione né di parlare con qualche operatore se non percorrendo centinaia di metri, la distanza, cioè, che intercorre tra l’Ingresso A e l’Ingresso D, giacché gli Ingressi B e C, chissà per quale motivo, presentano gradini e non sono accessibili?».
A quanto pare è proprio possibile e per questo ben volentieri cediamo la parola al Lettore, il cui dettagliato racconto rischia talora di rasentare i confini del grottesco, ad esempio quando si propone di segnalare alla Sala Controllo l’inaccessibilità degli ascensori, tramite un citofono che proprio dentro a quegli ascensori (inaccessibili) sta…

«Intorno alle sette di sera – scrive Antonio -, tornando a casa dal centro, come altre volte, prendo il Bus n. 55 e scendo a Porta Susa, pronto a balzare sulla metro che mi porterà a casa. Mi dirigo quindi verso l’ascensore esterno: tasto di chiamata (e sorvoliamo sul posizionamento delle pulsantiere, che contravvengono ogni criterio ergonomico, nonostante la pregressa esperienza della metro), ma nessuna reazione. Non una spia accesa, non un movimento. Sarà guasto. Càpita. Torno indietro (e qui sorvoliamo sul fatto che se non avessi una carrozzina a motore, la cosa sarebbe assai gravosa) e mi dirigo verso gli ascensori interni. Quello sulla destra è fuori servizio per manutenzione. Quello sulla sinistra ha l’accesso sbarrato da uno di quegli oggetti in plastica gialla che stanno a dirti più o meno la stessa cosa: “non funziona”, oppure “lasciaci lavorare”. Mi guardo intorno alla ricerca di un citofono o di un umano in veste di operatore. Deserto. Un signore in attesa di qualcuno o qualcosa mi dice che c’è un ingresso più in là, ma è parecchio lontano. Non passa molto e arriva un giubbotto arancione con un simpatico ragazzone dentro, che sta per entrare in stazione e ha tutta l’aria di lavorarci. Chiedo a lui. Mi confessa di essere l’idraulico e di non saperne nulla, ma con un gesto che stupisce favorevolmente – purtroppo, perché insolito -, invece di proseguire per la sua strada, si ferma con me, cerca sul suo cellulare il numero della Sala Controllo, contatta gli operatori e spiega il problema. In risposta: il consiglio di recarsi all’Ingresso B. Lo ringrazio per l’aiuto e la gentilezza e proseguo verso l’ingresso indicato, ma una volta arrivato lì, constato che è un ingresso per tutti ma non per me, perché con la carrozzina a motore quei gradini non c’è proprio modo di salirli».

«Proseguo – continua Antonio -, aumenta la pressione sanguigna e il nervosismo misto all’incredulità. L’Ingresso C , come già sapevo, è altrettanto inaccessibile. Quando sto per schiumare di rabbia, passando in rassegna tutte le imprecazioni più note all’indirizzo di progettisti, architetti, committenti, gestori e consulenti delle Ferrovie, giunge di corsa un giovane addetto dalla Sala Controllo, scusandosi per il tempo impiegato a raggiungermi e spiegandomi che non sapeva dov’ero con precisione, a quale punto del lungo tunnel doveva raggiungermi. Ecco, schematicamente, quello che ci siamo detti nel (lungo) cammino fatto insieme il sottoscritto (S) e l’addetto (A):
“A: Ci scusi, ci hanno telefonato, l’abbiamo vista con le telecamere, ma dovevamo capire dove si trovava esattamente…”; “S: Va bene, ok. Certo, però, che se ci fosse un qualche mezzo per mettersi in comunicazione con voi, che so, un citofono, avrei potuto dirvelo io stesso…”; “A: Il citofono c’è, dentro gli ascensori…”; “S: Sì, ma se dentro gli ascensori non ci si arriva…”.
E ancora:
“A: Dobbiamo andare all’Ingresso D, prendere l’ascensore, scendere, ripercorrere la strada indietro sino agli ascensori 6 [credo che abbia detto 6; quel che è certo è che è un sacco di strada]”; “S: Certo che se avessi dovuto spingere la carrozzina a braccia o zompettare sin lì con le stampelle…”. E qui aggiungo uno dei miei refrain preferiti sui percorsi “speciali” per disabili: la logica vorrebbe che le “persone a ridotta mobilità” (eufemismo tra i tanti, ma forse tra i meno bugiardi per dire carrozzati, stampellati e simili) fossero messe in condizione di percorrere meno strada degli altri, bipedi normodotati, non di più. Non so perché, al contrario, si progettino i percorsi più astrusi, sempre “altri”, sempre diversi, e sempre più lunghi, rispetto a quelli “normali”, che sono “normalmente” inaccessibili.
Infine:
“S: Ma scusa [ormai siamo passati al “tu”], da quanto tempo sono fuori servizio, gli ascensori?”; “A: Quattro giorni”; “S: Quattro giorni? Non ci posso credere!”; “A: Hai ragione, ma la Tyssen ha l’appalto per la manutenzione e stiamo aspettando…”; “S: Da quattro giorni? Aspettiamo che la Tyssen abbia voglia di ripristinare gli ascensori (non un ascensore, ma quattro) della principale stazione di Torino?”.

«A questo punto – conclude il nostro Lettore – ho pensato che le possibilità fossero due, anzi tre: o le cose non stavano esattamente come mi sono state riferite; o chi ha “disegnato” l’appalto pensava di gestire un condominio e non una stazione, fissando condizioni che consentono al manutentore di riparare gli ascensori con molta, molta calma; oppure, ancora, gli accordi vengono violati.
Il dato di fatto incontestabile, però, è che la Stazione Porta Susa di Torino è drammaticamente carente sul piano dell’accessibilità e dell’informazione e che quel giorno, se invece di dover tornare a casa in metro avessi dovuto prendere un treno, l’avrei perso».

Anche considerando quindi che la nuova Stazione di Torino Porta Susa è stata inaugurata il 14 gennaio di quest’anno dall’allora presidente del Consiglio Mario Monti e che all’epoca l’operazione venne presentata con parole roboanti quali «La nuova Porta Susa collega Torino dritto in Europa», ci sarà qualcuno che si sentirà chiamato in causa dal dettagliato racconto di Antonio e che vorrà in qualche modo replicare? Le nostre pagine, come sempre, sono del tutto aperte. (S.B.)

Ringraziamo Paolo De Luca per la segnalazione.

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