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Stazioni “impresenziate” e uno svedese aggrappato al treno

Stazione di Calalzo di Cadore (Belluno)

La stazione di Calalzo di Cadore (Belluno)

Ci voleva un turista svedese a rotelle, del quale vorrei conoscere nome e cognome per fargli i complimenti. Ci voleva un “marziano”, voglio dire, per mostrare al mondo la distanza che corre, ancora oggi, in Italia, tra un diritto e la realtà. Ci voleva un gesto forte, antipatico e imbarazzante, come quello di aggrapparsi con entrambe le mani al portellone della carrozza di un treno che non poteva accoglierlo, con la sua carrozzina, per far capire a tutti che cosa vuol dire, in pratica, la parola “discriminazione”.
Quanto è successo a Calalzo di Cadore (Belluno) potrebbe ripetersi in ogni Regione italiana, dal momento che la stragrande maggioranza delle stazioni piccole non è in grado di affrontare in tempi rapidi la richiesta di un viaggiatore con disabilità di salire a bordo del primo treno che passa.
Lo si capisce anche leggendo il testo, molto diplomatico, che compare nel sito di RFI, la Rete Ferroviaria Italiana, e che si intitola (molto) ottimisticamente Stazioni senza barriere.
Vi si parla di un piano di ammodernamento per quelle 2.150 stazioni medio piccole e piccole, molte delle quali gestite a distanza, ovvero “impresenziate”, per usare un termine burocratico ben noto ai viaggiatori con disabilità.
La realtà è dura da ammettere, ma incontrovertibilmente amara. In Italia si può viaggiare in treno, anche in sedia a rotelle, quasi esclusivamente sulle linee servite dai treni Frecciarossa o, da poco tempo, Italo. Per il resto occorre fortuna, pazienza, ricerca minuziosa dei servizi di asssistenza, prenotazione complicata, specie se si deve cambiare treno per raggiungere una località minore. Non parliamo del Sud, dalle cui Regioni, periodicamente, arrivano segnalazioni pesanti di inefficienze e di discriminazione.

Il sistema ferroviario italiano, del resto, scontenta nel medesimo modo i pendolari, coloro che usano il treno non per diletto ma per lavoro, ogni giorno. E non è un caso se soltanto il 20 per cento delle persone con disabilità ha usato un treno in vita sua. La rinuncia è “a priori”. E questo fenomeno, paradossalmente, consente all’offerta di accessibilità di rimanere bassa e del tutto insoddisfacente. I treni nascono scomodi già all’origine: gradini alti, corridoi stretti, banchine delle stazioni sconnesse e vecchie, parcheggi all’esterno scarsi e non protetti, connessione con i mezzi pubblici urbani quasi sempre casuale e carente. Viaggiare “alla svedese” da noi è un sogno, per uno svedese, in Italia, diventa un incubo.

Ora arriveranno le scuse, le prese di distanza, la denuncia al turista svedese di cui si parla non avrà – almeno spero – alcun seguito, ci mancherebbe anche questa beffa. Ma passata la rapida tempesta, fortunatamente arrivata in pieno week-end, tutto tornerà come prima.
Io stesso viaggio quando posso in treno, e lo faccio volentieri, direi quasi con gioia, perché è una delle azioni più socializzanti e inclusive che si possano concepire. Ma i miei percorsi sono sempre gli stessi: Milano-Roma e ritorno, Milano-Bologna, o Milano-Firenze. Posso arrivare tranquillamente a Napoli, o a Torino, o a Padova. Ma niente di più. E anche su queste tratte gestite da un buon servizio di assistenza attraverso le cosiddette “Sale Blu” è sempre in agguato l’imprevisto. Eppure a Roma e a Milano mi segnalano un forte incremento dei viaggiatori con disabilità. Buon segno? Dipende, vedremo nel futuro. Magari quando davvero saremo in pieno periodo di Expo 2015 a Milano, ed episodi come questo potrebbero ripetersi ogni giorno. Con un disastroso ritorno di immagine per il nostro Paese.

Direttore responsabile di «Superando.it».

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