Servizi sanitari: parlano le donne con disabilità

Cominciamo a presentare, a partire da oggi, una serie di interviste ad alcune donne con disabilità, riguardanti l’accesso ai servizi sanitari da parte di queste ultime. A realizzarle è stato il Coordinamento del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che già aveva curato, qualche tempo fa, un’interessante indagine sull’accessibilità dei servizi di ginecologia e ostetricia

Donna con disabilità fotografata di spalle in una struttura sanitaria (foto di Annalisa Benedetti)

(Foto di Annalisa Benedetti)

L’interessante indagine curata dal Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) sull’Accessibilità dei servizi di ginecologia e ostetricia alle donne con disabilità, da noi ampiamente presentata qualche tempo fa, si arricchisce ora ulteriormente, grazie a una serie di testimonianze sull’accesso ai servizi sanitari, provenienti direttamente da alcune donne con disabilità, sempre a cura del Coordinamento del Gruppo Donne UILDM.
«Ringraziamo di cuore queste donne – viene scritto dal Coordinamento stesso – per avere accettato di condividere la loro esperienza con noi, e segnaliamo che, per ragioni di riservatezza, tutti i loro nomi sono stati sostituiti da pseudonimi scelti dalle stesse intervistate. Non aggiungiamo altro. Ogni donna, a suo modo, ha espresso il proprio punto di vista partendo dal proprio vissuto. Si tratta solo di ascoltare la loro voce».
Incominciamo quindi a presentare tali interviste – otto in tutto – partendo da quella di “Stella” e ricordando anche che è ancora aperta, fino al 15 dicembre, la possibilità di collaborare alla raccolta di testimonianze, scrivendo semplicemente a: gruppodonne@uildm.it.

Gentilissima Stella, puoi raccontare qual è la tua età, il tuo titolo di studio, che tipo di lavoro svolgi, e la tua disabilità?
«Ho 35 anni, ho una laurea di primo livello nell’area aziendale/economica, attualmente mi occupo degli aggiornamenti del sito di un’azienda. Sono affetta da tetraparesi spastica, non ho la funzionalità degli arti e ho forti difficoltà nel linguaggio».

Puoi dire qual è la tua Regione di residenza, se vivi da sola o con altre persone, qual è il tuo livello di autonomia nella tua abitazione e fuori casa?
«Vivo in Toscana con la mia famiglia. In pratica non sono autonoma in nulla, sia fuori, sia dentro casa».

Sei stata invitata a partecipare a qualche campagna di prevenzione sanitaria, come ad esempio lo screening del carcinoma del collo dell’utero che riguarda tutte le donne di età compresa fra i 25 e i 64 anni?
«Fino a questo momento non ho aderito a queste campagne di prevenzione sanitaria, pur avendo ricevuto l’invito, perché sarebbe molto difficoltoso poter fare tali test».

Il tuo presidio sanitario di riferimento è raggiungibile attraverso mezzi pubblici accessibili? E nelle vicinanze di esso ci sono parcheggi riservati alle persone con disabilità?
«I mezzi pubblici sono davvero poco accessibili. Generalmente raggiungo i presìdi sanitari con mezzi privati. I parcheggi riservati alle persone con disabilità effettivamente ci sono».

Ti è mai capitato di recarti in un ospedale o in un ambulatorio, e di non riuscire a raggiungere il luogo per presenza di ostacoli lungo il percorso? Oppure di non riuscire a entrare nell’ambulatorio perché inaccessibile?
«Sì, soprattutto in passato. Fortunatamente le cose stanno un po’ cambiando, dal punto di vista delle barriere architettoniche nei luoghi pubblici».

Ti è mai capitato di dover svolgere qualcuno di questi esami/visite: visita ginecologica, PAP test, mammografia, ecografia pelvica, densitometria ossea, prove urodinamiche, colposcopia, ecografia mammaria, isteroscopia?
«No, non mi è mai capitato di eseguire questi esami, ma vista anche la mia età, sentirei la necessità di sottopormi a visite di questo genere. Io ho dei movimenti incontrollati che non rendono possibile utilizzare alcuni strumenti diagnostici. Mi è capitato, ad esempio, di dover fare una radiografia completa alla bocca (non ricordo il nome specifico dell’esame), ma sarei dovuta stare in piedi e ferma davanti o dentro a un macchinario. Una cosa per me impossibile».

E in relazione a queste visite, puoi illustrare come si è svolta la comunicazione col medico?
«Come ho già detto, ho forti difficoltà nel parlare e, con chi non mi conosce bene, farmi capire diventa molto difficile. Inoltre, spesso, anche i medici tendono a prendere la mia disabilità per una disabilità mentale, e credono che non sia in grado di comprendere ciò che dicono. E così gli esiti di una visita vengono comunicati a mia madre, che è la persona più vicina a me. Nel mio caso, insomma, manca un rapporto diretto fra medico e paziente e quindi, in alcune circostanze, non ho la possibilità di avere quella privacy necessaria per chiedere alcune cose che riguardano la mia intimità. Purtroppo, questo avviene anche con il medico di base».

Nella fase preparatoria alla visita, hai potuto usufruire di uno spogliatoio accessibile? E al di là di quanto hai già eloquentemente segnalato, ti sei sentita rispettata nella tua riservatezza?
«Questo è un aspetto ancora da migliorare nei presìdi sanitari. Generalmente ho trovato spogliatoi con spazi molti angusti, nei quali la carrozzina entrava a malapena, e quindi non è stato possibile utilizzarli perché ho sempre bisogno almeno di una persona che mi spogli e mi rivesta. Lo stesso problema lo riscontro anche nei negozi di abbigliamento».

Per quelle visite che comportano lo spostamento su un apposito lettino, ti è stato chiesto come avresti voluto essere aiutata nello spostamento? Il lettino in questione era regolabile in altezza? E c’era un sollevatore disponibile, o del personale formato in grado di aiutarti? Come si sono svolte, infine, le manovre di spostamento per raggiungere il lettino (e viceversa)?
«Raramente ho trovato lettini regolabili in altezza. Mia madre si è incaricata di fare tutte le manovre necessarie per lo spostamento dalla carrozzina al lettino e viceversa. In alcuni casi, però, era presente del personale paramedico che ha chiesto come potermi aiutare».

Per quelle visite che comportano l’uso di apparecchiature particolari (ad esempio il mammografo, l’apparecchio per eseguire la densitometria ossea ecc.), hai riscontrato delle difficoltà nel dover utilizzare tali strumentazioni?
«Con i miei problemi, penso che eseguire questi accertamenti clinici sarà molto difficile. Mi chiedo perciò se esistano metodi alternativi o strumenti che mi permettano di potermi sottoporre a questi esami».

Nel caso tu abbia riscontrato delle difficoltà, hai provato a fare un ricorso?
«No, non ci ho mai pensato perché credo sia inutile, ma mi rendo conto che forse sbaglio».

Basandoti sulla tua esperienza personale, qual è la tua impressione generale rispetto all’accesso ai servizi sanitari da parte delle persone con disabilità?
«Con un voto da uno a dieci, darei un cinque scarso all’accesso ai servizi sanitari. Certo, i continui tagli alla sanità pubblica non aiutano a migliorare la situazione».

Vuoi aggiungere qualche altra considerazione che potrebbe essere utile a migliorare i servizi sanitari?
«Può sembrare una banalità, però l’unico modo per migliorare i servizi sanitari è di investire sulla formazione del personale medico e paramedico. Costoro, infatti, devono imparare a relazionarsi anche con persone affette da una disabilità grave, come può essere la mia. Non so se nei corsi universitari che formano gli operatori sanitari, siano previste lezioni specifiche che affrontano questi temi in modo compiuto. Diverse volte mi è capitato di dover fare delle radiografie e gli operari non capiscono che non riesco a stare ferma, specialmente in situazioni in cui non sono a mio agio. Sembra che lo faccia apposta, ma ovviamente non è così. Mentre invece vado, senza problemi, dal dentista perché, conoscendolo da tanti anni, mi sento a mio agio, e riesco a stare abbastanza ferma.
Un’altra cosa che potrebbe contribuire a migliorare la fruizione da parte delle persone con disabilità dei servizi sanitari sarebbe cominciare a progettare sia gli spazi, sia soprattutto gli strumenti diagnostici, tenendo conto anche delle particolari condizioni fisiche degli utenti. Visto poi che si parla tanto di “società inclusiva”!…».

La presente intervista è già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e viene qui ripresa, con alcuni lievi riadattamenti al contesto, per gentile concessione.

Il Gruppo Donne UILDM
Quattordici eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, tantissimi articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, varie segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, centinaia di film attinenti alle donne disabili, centinaia di segnalazioni bibliografiche e di risorse internet schedate: è questa la produzione del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio àmbito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto allora da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin), decise di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i propri obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità.
Nel 2011 il Gruppo Donne UILDM (che è anche su Facebook) ha anche ricevuto da Decima Musa Caravaggio (Associazione Culturale Europea-Compagnia Teatrale) il Premio Decima Musa «per il valore di un’attività finalizzata al raggiungimento delle pari opportunità, che sottolinea e affronta il problema specifico e la situazione delle donne disabili».
Un lavoro davvero prezioso, quindi, che purtroppo, nei mesi scorsi, ha perso una delle sue prime “colonne”, a causa della dolorosa scomparsa di Gaia Valmarin, che a proposito della sua collaborazione con il Gruppo Donne UILDM aveva scritto: «Questa è una bellissima esperienza, che mi ha permesso di ampliare gli orizzonti e di aumentare la mia conoscenza del prossimo, e questo è il più bel dono che si possa ricevere!».

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