Sono una persona autonoma, ma non un “finto cieco”!

«Non si può pretendere che nel 2013 gli ipovedenti o i ciechi restino chiusi in casa per paura di avere una vita sociale troppo aperta. È giusto perseguire i “finti invalidi”, ma senza discriminare chi lotta ogni giorno per dimostrare a se stesso di essere un disabile “normale”»: è questo l’appello lanciato da Marco Lijoi, giovane con disabilità visiva, a chi parla a sproposito di “falsi ciechi”, guardando con sospetto anche chi cieco lo è davvero

Marco Lijoi

Marco Lijoi è centralinista presso la Provincia di Forlì-Cesena

«Ormai sono finiti i tempi in cui i portatori di handicap visivo (e i disabili in generale) se ne stavano chiusi in casa seduti sul divano, accuditi in tutto e per tutto dalle loro famiglie. Ora siamo “cittadini del mondo”, lavoriamo, studiamo, viaggiamo, ci divertiamo e ci impegnamo a livello sociale con dignità»: è una presa d’atto con rabbia quella che viene da Marco Lijoi, centralinista della Provincia di Forlì-Cesena, non vedente quasi totalmente da un occhio e non vedente per niente dall’altro. «Di fatto – spiega – di un oggetto vedo solo un’ombra, un contorno sfumato».
Sempre più spesso le persone non vedenti sono vittime del pregiudizio di chi, di fronte a un problema reale, quello dei cosiddetti “falsi ciechi” e dei relativi benefìci fatti di pensioni e assegni di invalidità, guarda con sospetto anche a chi cieco lo è davvero, ma nonostante tutto riesce ad avere una buona qualità della vita. Come dire, vittime dei “falsi ciechi” non sono solo le casse pubbliche e quindi tutta la collettività, ma anche i veri ciechi, quasi costretti a dover giustificare di fronte a ogni sconosciuto il fatto che tutto sommato possono vivere felici pur nell’handicap.

Come trova la città di Forlì di fronte a questo nuovo e singolare pregiudizio?
«Ormai spesso anche nella mia città, se ti vedono con un cane guida e però sei capace di bere un caffè da solo, finisci nel mirino di chi è pronto sommariamente e senza appello a definirti come “falso cieco”. Gli altri cittadini non hanno idea e non sanno cosa possa significare oggi vivere con una disabilità come la mia. Grazie a Dio posso dire che oggi, anche se con un problema molto importante, come non avere la vista, mi sono integrato in un mondo che ora è anche nostro: mandiamo SMS, utilizziamo i mezzi pubblici, facciamo sport».

Vuole rivolgere un appello?
«Non si può pretendere che nel 2013 gli ipovedenti o i ciechi debbano rimanere chiusi in casa per paura di avere una vita sociale troppo aperta. È giusto perseguire i “finti invalidi”, ma senza discriminare quelli che invece lottano ogni giorno per dimostrare a se stessi di essere disabili “normali”».

Lei è giovane, anche lei pazzo per Facebook e smartphone?
«Frequentemente la cronaca racconta di persone scoperte a compiere azioni ritenute impossibili per chi ha una disabilità visiva: mandare messaggi con il cellulare o lo smartphone, avere un profilo Facebook. In questi ultimi anni, fortunatamente, la tecnologia ci è venuta in soccorso. Ormai su tutti i dispositivi mobili e fissi è possibile installare programmi vocali o ingrandenti che ci permettono di accedere al web, alla posta elettronica, agli sms e ai vari social network. Quindi non c’è da stupirsi se anche un disabile visivo gestisce autonomamente il suo profilo Facebook o Twitter».

Lei si era rivolto alla testata «ForlìToday», all’interno della rubrica La città che non va, per protestare contro la mancata dotazione di strumentazione per i disabili sugli autobus. Come si trova sui mezzi pubblici?
«Riesco a prendere l’autobus, pur nelle difficoltà dovute alla mancanza delle apparecchiature previste per legge, e anche ad attraversare la strada, prestando attenzione alle auto e a raggiungere la fermata. C’è chi si stupisce del fatto che individuiamo la nostra fermata di discesa, come se fossimo “extraterrestri”, ma siamo comuni mortali che semplicemente stanno più attenti di chi può basarsi sulla vista. E se abbiamo delle incertezze rispetto a un percorso che non conosciamo bene, chiediamo informazioni all’autista o ai passeggeri».

Insomma, è possibile avere una vita piuttosto autonoma…
«Spesso, se siamo ipovedenti, per orgoglio o per vergogna tendiamo a mascherare i nostri limiti, quindi la gente non si accorge che abbiamo bisogno di una mano. Anzi, se viene a sapere che godiamo di indennità e pensioni, si indigna e ci accusa di essere “falsi invalidi”, solo per il fatto che ci vede abbastanza autonomi. Per fare un esempio, chi di noi ha un visus abbastanza buono – e non è il mio caso -, riesce a leggere il giornale, nonostante nel suo campo visivo rientrino solo un paio di parole alla volta. È una situazione per niente piacevole. Non possedere una visuale totale di ciò che ci circonda ci porta in molti casi ad avere incontri ravvicinati con pali, cartelloni pubblicitari, bidoni dell’immondizia…».

Se uno ha un legittimo dubbio di “falso invalido”, però, potrà in qualche modo verificare senza correre il rischio di essere discriminatorio?
«Certamente, sul territorio italiano, quasi in ogni città, esiste una sezione dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) alla quale ci si può rivolgere per avere maggiori informazioni».

La presente intervista è già apparsa in «ForlìToday.it», con il titolo “La rabbia di un non vedente: ‘Sono autonomo, non giudicatemi finto cieco’” e viene qui ripresa, con minimi riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

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