Perché ridere non vuol dire deridere

«Si può ridere – scrive Simone Fanti – “con” e non “della” persona con disabilità, un pensiero che mi è venuto in mente in occasione del film “Indovina chi viene a Natale”, in cui Raul Bova interpreta una persona con protesi al posto delle braccia». A vederlo è andato anche il Presidente dell’Associazione Italiana per bambini con malformazioni e non ne è uscito certo entusiasta

Cast di "Indovina chi viene a Natale" (Fausto Brizzi, 2013)

Il cast del film di Fausto Brizzi “Indovina chi viene a Natale”

Tra sorridere, ridere e deridere scorre un oceano di sentimenti. Si può sorridere della disabilità con garbo, delicatezza e rispetto delle persone. Si può ridere con e non della persona con disabilità. Ma deridere gli uomini e le donne con fragilità è vietato dall’etica e dalla morale.
Mi sono venuti in mente questi pensieri visionando il trailer del recente film di Fausto Brizzi Indovina chi viene a Natale, in cui Raul Bova interpreta una persona con protesi al posto delle braccia.
Abbiamo deciso così di trasformare Sandro Pupolin, un ventottenne privo degli arti superiori, responsabile di Raggiungere ONLUS, l’Associazione Italiana per bambini con malformazioni agli arti, in un nostro “inviato speciale” e gli abbiamo chiesto di vedere il film.

Nella pellicola, Bova, privo degli arti superiori per un incidente, viene presentato dalla fidanzata ai genitori. E fin qui nulla di sconveniente. «Peccato – commenta Pupolin – che alle gaffe comuni e che possono strappare un mezzo sorrisetto se ne aggiungano altre di derisione, come la scena in cui un imbarazzato Abatantuono aiuta manualmente Bova a fare pipì o quando sono a cena e Bova usa la bocca per portare il tovagliolo dal piatto alle gambe. La realtà non è questa! Già quando avevo visto il trailer per la prima volta, ero al cinema con una ragazza e vedere certi spezzoni mi ha messo in difficoltà. E sicuramente lo era anche la mia amica».
Comicità grossolana degna del migliore dei cinepanettoni? Non è quello il problema. Un film come il noto Quasi amici ha elegantemente sdoganato il sorriso quando si parla di disabilità, un riso ironico talvolta amaro talvolta aperto, di cuore, che sottende ed educa. Con una risata si integra e si spiega meglio di mille pietismi e lacrime, e per quanto riguarda le gaffe, chi scrive lo aveva già fatto anche in altra sede.
La critica, poi, non riguarda solo Indovina chi viene a Natale, ma aggiungo anche il film di Paolo Ruffini Fuga di cervelli, uscito a metà novembre, che vede tra i protagonisti un cieco e un paraplegico (definito nel trailer come “paralitico” e si veda anche una recente intervista pubblicata da «Disabili.com») in cui il disabile diventa una macchietta. O al finto paraplegico di Benvenuti al Sud (e poi il finto cieco del sequel Benvenuti al Nord); allora la disabilità era una tematica solo sfiorata, oggi, invece, viene affrontata con forza nei film presenti in sala.

Viene a questo punto da chiedersi se il passaggio dal film di concetto alla comicità un po’ grossolana sia positivo o meno. Se è apprezzabile il tentativo – maldestro – di raccontare l’ingresso in famiglia di una persona con disabilità – quasi si volesse affrontare una tematica sociale e raccontarne la cronaca -, non lo è purtroppo il risultato.
«Indovina chi viene a Natale – commenta Pupolin – ricade nello stigma, nel luogo comune, nella battuta greve che dà fastidio. Il linguaggio punta sui soliti “handicappato”… “paralitico”… che non si usano ormai da anni se non per denigrare. Ho visto il film su richiesta di alcuni amici e non nascondo il mio disagio. Certo, la comicità di tipo “natalizio” a cui i registi italiani ci hanno abituato richiede banalizzazione, semplificazione della realtà, ma rischia di aumentare il gap, molto ampio, che esiste tra le persone con disabilità e il resto della società».
E questo nonostante gli attori abbiano chiesto consigli a persone con disabilità vera su come rappresentare in scena queste difficoltà. Consigli poi evidentemente vanificati da “esigenze” di comicità, dal copione che hanno dovuto interpretare, mi verrebbe da dire. «Non sono riuscito a sorridere con il film – conclude Pupolin -, anzi in alcuni spezzoni mi sono sentito deriso».
Vale dunque la pena, a questo punto, invitare i Lettori a vedere in YouTube con quanta grazia Simona Atzori riesca a sostituire le braccia con i piedi e a dipingere, mangiare, scrivere: dopo la prima impressione forte, sembrerà la cosa più naturale di questa terra; o anche l’agilità con cui agisce Beatrice “Bebe” Vio nelle gare e nella vita; oppure ancora una mamma che cambia il suo bimbo. Poi si potrà fare un confronto con il cinema di cui abbiamo parlato.

Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Indovina chi NON viene a Natale”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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