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Vedi la persona, non la disabilità!

Carly Armour

Carly Armour dell’Università americana dello Iowa indossa una maglietta centrata sulla campagna lanciata da tale Ateneo, con il titolo di “See the Person not the Disability” (“Vedi la persona, non la disabilità”)

Caro nipote di Umberto Eco, non conosco il tuo nome, non so quanti anni tu abbia, ma mi permetto di rivolgermi con il tu, visto che anch’io potrei essere un nonno, pur se abbastanza giovane (almeno dentro).
Scusa se ti scrivo, aggiungendomi umilmente alla lunga missiva che sulle pagine de «L’Espresso.it» ti ha spedito l’illustre e coltissimo nonno. I suoi consigli sull’uso della memoria sono assolutamente apprezzabili e li condivido appieno, ma la “Eco” di alcune sue parole, all’interno di quel testo, letto da tantissime persone di ogni tipo, e in particolare i suoi esempi riferiti alla condizione delle persone con disabilità, mi è arrivata da ogni dove, fino a spingermi a prendere carta e penna virtuali. Mi rivolgo direttamente a te, perché non me la sento di competere con cotanto avo. Ma andiamo con ordine.

So che stai esercitando la memoria, come ti chiede il Nonno, ma nel caso ti fossi dimenticato alcune sue frasi, le riporto qui: «Ma se non cammini abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi per indicare chi è costretto a muoversi in carrozzella. Va bene, lo so che fai dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al tuo cervello – scrive nonno Umberto -. La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria».
Ecco, come vedi il grande Umberto usa due volte un termine ben preciso, diversamente abile. Ti assicuro che questa ipocrita locuzione non mi piace affatto [se ne legga già lo stesso Bomprezzi su queste pagine, a proposito di un intervento televisivo di Roberto Saviano, N.d.R.], anzi non piace ai diretti interessati di tutto il mondo, che infatti, alle Nazioni Unite, hanno detto chiaro e tondo che siamo “persone con disabilità”. Persone, capisci? Ovvero ognuno di noi, sia che viva come me in sedia a rotelle (o carrozzina: non carrozzella, come scrive il Nonno, perché la carrozzella è quella che circola nelle vie del centro di Roma o di Firenze, tirata da cavalli), sia che usi un bastone bianco, o non ci senta, o abbia dei deficit di natura intellettiva, è prima di tutto una persona, ha un nome, una dignità, un posto nella società, esattamente come te e come tutti coloro che non hanno alcuna apparente disabilità.
Non siamo “diversamente abili”: siamo quello che siamo, più o meno abili, più o meno in grado di rappresentare noi stessi con la parola o con lo sguardo o in altro modo. Scusami se insisto, ma capisci bene che avere un Nonno così colto e autorevole potrebbe farti pensare che ogni sua parola è vera e giusta, perché parla quasi “ex cathedra”, pur rivolgendosi apparentemente solo all’amato nipotino.

Già che ci siamo: io e i miei amici in sedia a rotelle non siamo «costretti» a muoverci in carrozzina. Al contrario: siamo liberi di muoverci grazie alla carrozzina, che è solo un ausilio tecnologico, manuale o elettronico, sempre più evoluto e personalizzato, che ci aiuta a superare la nostra impossibilità di camminare. Chiaro? Mi sembra una precisazione utile, nel caso tu, incontrando una persona in sedia a rotelle, pensassi magari di dirgli, memore delle parole di tuo nonno: «Ciao, idiota diversamente abile! Poverino, sei costretto in carrozzella…». Ecco, non te lo consiglio. Se trovi per caso una persona paraplegica che fa sport, è capace che ti tira un paio di cartoni che non sai neppure da dove sono arrivati. Occhio, dunque: il nonno Umberto è un grande saggio sulle cose che conosce meglio, ma anche lui è “diversamente colto” e magari sulla disabilità è rimasto un po’ indietro nel tempo, e si basa sui luoghi comuni, sui pregiudizi, dai quali per altro, da attento studioso delle parole e del loro significato, dovrebbe ben guardarsi. Diglielo tu, se puoi, io preferisco rivolgermi ancora a te per qualche piccolo dettaglio.

Non vorrei aver capito male, ma nelle frasi di nonno Umberto c’è quasi l’eco lontana di un’idea sbagliatissima, molto popolare, anzi popolana. Una volta si diceva: «La gatta frettolosa ha fatto i figli ciechi». Ecco, c’è la convinzione – oggi assai meno diffusa – che la disabilità sia in qualche modo una colpa, o venga causata da un nostro comportamento sbagliato: «se non cammini abbastanza…», «se non eserciti la memoria…». Già. Pensa che in passato le mamme indicavano con il dito la persona “handicappata”, quando, volendo rimproverare i loro figli “sani” magari per la loro vivacità, stabilivano questo impietoso confronto, quasi un monito “a non diventare come loro”.
Ecco: questo tipo di cultura allontana, emargina, stigmatizza ed è sinceramente grave che ancora oggi si faccia ricorso ad argomenti così maleducati ed avvilenti.

Caro nipote di Umberto Eco, probabilmente non c’era neppure bisogno che ti scrivessi, perché la tua generazione per fortuna è abituata da tempo a vivere insieme ai ragazzi e alle ragazze con disabilità, grazie al sistema scolastico italiano, che fortunatamente non ha dato retta ai consigli del pedagogo Eco. Perciò, se puoi, fammi un regalo: spiega tu al nonno come ci si deve comportare [su ciò si legga anche Claudio Arrigoni, nel blog “InVisibili” del «Corriere della Sera.it», N.d.R.] e stupiscilo con una citazione inglese: «See the Person, not the Disability» [“Vedi la persona, non la disabilità”, N.d.R.].
Buona vita, ragazzo!

Direttore responsabile di «Superando.it».

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