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Lombardia: le ASL vanno di fretta, i Comuni molto meno

Ombra di persona in carrozzina e di assistente che la spingeCon la Deliberazione di Giunta Regionale (DGR) X/740 del 27 settembre 2013 (Approvazione del Programma Operativo Regionale in materia di gravi e gravissime disabilità di cui al Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze anno 2013 e alla DGR 2 agosto 2013, n. 590. Determinazioni conseguenti), la Direzione Generale Famiglia della Regione Lombardia ha impresso una forte accelerazione al processo di riforma del welfare sociale lombardo, così come delineato dalle affermazioni contenute nel Programma Regionale di Sviluppo e nella precedente DGR X/116 del 14 maggio 2013.
In sostanza la Delibera X/740 prevede l’utilizzo delle risorse del Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze assegnate alla Lombardia, per interventi in favore delle persone con gravi e gravissime disabilità non in carico ad “Unità di Offerta”, tesi a garantirne la permanenza nel proprio contesto di vita. Misure che prevedono una forte integrazione tra intervento sociosanitario e sociale e l’utilizzo del cosiddetto “Budget di cura” come strumento operativo.
A distanza di qualche mese, è stata effettuata una prima verifica di cosa sia successo e stia succedendo nei diversi territori. In che modo, cioè, le istituzioni preposte stiano interpretando un cambiamento così profondo nel modo di pianificare le misure di politica sociale in Lombardia.

Le attese
L’aspettativa era quella di vedere avviati cantieri di lavoro tra ASL e Comuni/Piani di Zona, per creare le condizioni organizzative e culturali che rendessero possibile l’avvio di un approccio integrato ai problemi della disabilità.
Ebbene, la percezione – per le segnalazioni e le notizie circolanti – è quella invece di una serie di difficoltà diffuse nel sostenere e interpretare questo processo di cambiamento, difficoltà rese evidenti da un’azione molto marcata ed “efficiente” da parte delle ASL, condotta però in modo “solitario”, senza un adeguato coinvolgimento dei Comuni, sia nella fase di programmazione che in quella di attuazione. Un’azione che sembra molto orientata all’erogazione del contributo economico, più che al processo di presa in carico e di progettazione globale e integrata.
Per verificare questa percezione è stato svolto un lavoro di raccolta dati, basandosi sulle informazioni messe a disposizione dei cittadini sui siti delle ASL, ovvero dell’Ente individuato come responsabile della governance degli interventi rivolti alle persone con gravissima disabilità. Il risultato complessivo conferma in parte la prima impressione, ma con una certa differenziazione di comportamenti e di scelte, da territorio a territorio.
Le aree indagate riguardano la fase di valutazione – che la DGR X/740 prevede come valutazione multidimensionale -, la presenza o meno di informazioni riguardanti il Progetto Individuale di Assistenza (PAI), lo strumento di attuazione e l’Ente a cui presentare la domanda (se cioè presso l’ASL e/o presso il Comune).

Quel che accade in realtà
La comunicazione
In sette casi su quindici, sui siti delle ASL, alla data del 9 dicembre non compariva ancora alcuna indicazione su come poter accedere ai benefìci previsti dalla DGR X/740. In un caso (ASL Mantova) sul sito è stato pubblicato il solo modulo di richiesta. Quattro ASL, a seguito di un contatto via mail, hanno però fornito le informazioni in proposito. È stato quindi impossibile, al momento, raccogliere le informazioni sulle iniziative assunte o in fase di progettazione dalle sole ASL di Lecco, Lodi e Valle Camonica. Una carenza di informazioni che potrebbe essere interpretata come scarsa efficienza oppure come l’esito di un percorso di programmazione partecipato non ancora concluso.
Possiamo dire che ad oggi l’accento nelle informazioni offerte e nella stessa modulistica è dato dalla possibilità di richiedere un contributo, che nel caso delle persone con disabilità gravissima, in capo all’ASL sarebbe pari a 1.000 euro al mese, mentre per i casi di disabilità grave (di responsabilità comunale), è pari a 800 euro al mese.
Si tratta della prima forma di interpretazione “riduttiva” della DGR X/740 la quale, infatti, non si limita a prevedere l’erogazione di un contributo economico, ma vincola questa opportunità a un processo molto più ampio di valutazione multidimensionale e di progettazione globale e integrata, un processo capace, prima di tutto, di mettere in gioco gli interventi già in atto e quelli attivabili, alla luce delle risorse pubbliche, sociali e personali disponibili. Un progetto al cui interno le risorse della X/740 divengono delle ulteriori risorse disponibili a sostegno del benessere della persona coinvolta.

La valutazione
Secondo passo, la valutazione. La valutazione dei bisogni delle persone dovrebbe assumere un profilo multidimensionale, capace cioè di integrare il profilo funzionale delle persone e la valutazione sociale (condizione familiare, abitativa e ambientale). Una valutazione, quindi, che necessariamente si prevede venga effettuata in forma integrata tra ASL e Comuni.
Alcune ASL non dichiarano in che modo e con quali strumenti verrà operata la valutazione. In due casi (Brescia e Mantova) si fa riferimento agli strumenti già sperimentati nel periodo precedente per l’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata); in ben sei casi, poi, il riferimento è – coerentemente con quanto previsto dalla DGR X/740 – a un processo di valutazione multidimensionale del bisogno.
Non tutte le realtà, per altro, esplicitano la necessità che il processo porti ad un progetto individualizzato: questa previsione, infatti, viene citata in soli sei àmbiti territoriali.

Gli strumenti
Lo strumento individuato è in tutti casi quello del buono, come del resto previsto dalla DGR X/740, la quale però precisa che esso potrebbe essere utilizzato, oltre che per la compensazione del reddito, anche per acquistare prestazioni da assistente personale.
Un indicatore concreto per misurare il grado di integrazione tra ASL e Comune può essere rappresentato dal luogo di presentazione delle domande. Il CEAD (Centro per l’Assistenza Domiciliare) viene indicato in tre situazioni (Bergamo, Pavia, Sondrio), mentre a Como e a Mantova si indica lo Sportello Unico per il Welfare, un nuovo punto di accesso alla rete che la Regione sta sperimentando in diversi territori. Si tratta complessivamente di cinque situazioni in cui il luogo di presentazione della domanda è “ad alto tasso di integrazione” fra Uffici ASL e Uffici Comunali. In altri casi, invece, si deve fare riferimento ad entità “tipiche” delle ASL, come gli Sportelli Fragilità, il Dipartimento ASSI (Attività Socio-Sanitarie Integrate), gli Uffici dell’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) o l’UCAM (Unità di Continuità Assistenziale Multidimensionale).
Il fatto che la Deliberazione X/740 preveda una misura complementare di competenza comunale, destinata alle persone con disabilità grave, viene citato in sole tre ASL, ma senza offrire ulteriori indicazioni in proposito. Nel resto dei territori, al momento, non compare alcuna informazione in merito.

Conclusioni
Premesso ancora che la fotografia emergente dalla visione e dalla lettura dei siti delle ASL, in merito alla DGR X/740, non è necessariamente esaustiva di quanto sta avvenendo realmente in tutti i territori e alle diverse persone che chiedono di accedere a queste misure, è tuttavia possibile ricavare alcune indicazioni sui punti di forza e quelli di debolezza insiti in questa prima fase di implementazione del provvedimento.
Il primo dato che emerge è la fatica a distaccarsi dal modello precedente, in particolare alle modalità abituali di erogazione del cosiddetto “Contributo SLA” [ove SLA sta per sclerosi laterale amiotrofica, N.d.R.], che hanno caratterizzato la modalità di gestione di questi fondi negli ultimi due anni.
L’accento e l’attenzione è ancora posto all’accesso al contributo e non alla presa in carico e all’integrazione degli interventi. In questo quadro il rischio di una banalizzazione e burocratizzazione del percorso di valutazione e progettazione potrebbe essere molto alto. Se infatti l’accento fosse veramente sull’accesso al contributo economico, si rischierebbe di considerare tutto il percorso come una serie di semplici adempimenti formali, per giungere finalmente al punto, cioè all’effettuazione del bonifico dall’ASL al beneficiario.
Sarebbe stato quindi più opportuno mettere l’accento sulla possibilità di accedere a una forma di presa in carico globale e integrata che ponesse – ma solo alla fine del percorso – la possibilità di intercettare queste risorse per sostenere i progetti, i bisogni, ma anche i desideri e le ambizioni personali. Questo è senz’altro l’aspetto di maggiore attenzione, in un contesto professionale e sociale fortemente influenzato e abituato a un modello di welfare fino ad ora fortemente orientato all’accesso alla prestazione, in genere di carattere sanitario o assistenziale.

In secondo luogo l’integrazione tra aspetti sociosanitari e sociali appare ancora debole e disomogenea. È possibile – e in alcuni casi se ne ha anche notizia – che vi sia alle spalle e in corso un lavoro intenso di contatti e riunioni tra ASL e Comuni. Ed è bene anche sottolineare come le informazioni circolanti su questi primi contatti riguardino soprattutto la gestione dei casi di quelle persone con SLA o altre malattie del motoneurone, persone, cioè, che avevano beneficiato di un contributo corposo da parte delle ASL e che avrebbero potuto trovarsi in difficoltà a causa del decurtamento del contributo e al passaggio di gestione ai Comuni. Certo è, comunque, che al momento l’azione delle ASL e quella dei Comuni viaggiano in parallelo e a velocità differenti e comunque in modo ancora molto distante da quanto previsto dalla stessa DGR X/740.
È anche vero che in alcuni casi si evidenziano segnali interessanti di collaborazione e integrazione, in particolare in quelle situazioni dove il luogo di presentazione della domanda è una realtà integrata come il CEAD (Centro per l’Assistenza Domiciliare) e, come si auspica che sia, anche il neonato Sportello Unico per il Welfare.
Il percorso dell’integrazione sociosanitaria e sociale si può dire quindi solo in parte avviato e anche da questi primi dati appare chiaro come il raggiungimento di questo obiettivo possa e debba essere sostenuto da un’intensa attività di monitoraggio, formazione e supporto centrale, che riguardi tanto gli aspetti tecnici e organizzativi quanto quelli più squisitamente culturali.

Giovanni Merlo è educatore professionale e direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità); Laura Abet è avvocato del Servizio Legale della LEDHA stessa. La LEDHA è la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente approfondimento è già apparso in «Lombardia Sociale.it» (con il titolo “Le Asl vanno di fretta…”) e viene qui ripreso – con lievi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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