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Riorganizzazione della rete ospedaliera: serve intelligenza

Ospedale Filippo Del Ponte di Varese

Il caso dell’Ospedale Filippo Del Ponte di Varese costituisce uno dei vari paradossi messi in luce dal dossier del Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva: ne è prevista infatti la chiusura, pur essendo oggetto di una ristrutturazione quasi completata

«Se si procede a una riorganizzazione della rete ospedaliera utilizzando il solo criterio del numero dei posti letto, si rischia di fare delle scelte paradossali che non garantiscono ai cittadini un’assistenza sanitaria pubblica accessibile, efficiente, efficace, di qualità e sicura. Non vogliamo difendere strenuamente il posto letto, ma sappiamo che non si può procedere con criteri prevalentemente ragionieristici»:  sono parole di Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva, organizzazione che su tale questione ha realizzato – attraverso le proprie sedi locali – una ricognizione sul territorio, allo scopo di evidenziare alcune criticità che emergerebbero dall’ipotesi di chiusura di 175 piccoli ospedali con meno di 120 posti letto e in vista dell’adozione del nuovo Regolamento sugli standard ospedalieri, attualmente oggetto di confronto tra il Ministero e le Regioni, all’interno del nuovo Patto per la Salute [il Patto per la Salute è un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema, N.d.R.].

Entrando nel dettaglio del dossier elaborato dal Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva – che è stato inviato al Ministro della Salute, alla Conferenza delle Regioni e alle Commissioni Parlamentari competenti – si notano subito alcuni paradossi. Infatti, nella lista dei 175 ospedali da chiudere, sono presenti strutture sulle quali sono stati fatti grandi investimenti economici, nell’ultimo periodo, di ammodernamento o adeguamento strutturale. Ad esempio: l’Ospedale Valdese di Torino (già chiuso); l’Ospedale Filippo Del Ponte di Varese, dove la ristrutturazione è quasi completata; l’Ospedale di Asola (Mantova), completamente ristrutturato; l’Ospedale di Ozieri (Sassari), ammodernato e potenziato; il trasferimento, in Puglia, del Reparto di Chirurgia Generale e Ortopedia dal Presidio Ospedaliero di Trani (tutto ristrutturato) al Presidio Ospedaliero di Bisceglie (dove la sala operatoria non è a norma).
E ancora, nelle Marche, l’Ospedale di Matelica (Macerata) verrà chiuso, ma qui i collegamenti stradali sono precari, l’assistenza domiciliare funziona solo cinque giorni alla settimana con personale insufficiente e per i trasporti di urgenza sono disponibili due elisoccorsi, di cui uno però non vola di notte e di inverno viaggia solo 6 ore su 24.
Anche in Abruzzo, poi, ci sono alcune contraddizioni: Teramo, la Provincia più piccola della regione, manterrebbe tutte e quattro le strutture ospedaliere, Pescara avrebbe un solo ospedale in tutta la Provincia, Chieti e l’Aquila invece tre.
Infine, nel Lazio, l’Ospedale Angelucci di Subiaco (Roma) rientra nella lista delle strutture da chiudere, ma la popolazione del luogo, che ammonta a circa 34.500 abitanti, è costituita per quasi un terzo da ultrasessantacinquenni (dati Istat 2009). Inoltre, l’area afferente al Distretto Sanitario 4, di cui fa parte, è la più povera del Lazio, con un reddito pro capite inferiore del 7% a quello medio regionale. Senza dimenticare che per percorrere la distanza tra Subiaco e Tivoli servono circa 50 minuti e gli abitanti di Vallepietra – che normalmente fanno riferimento all’Ospedale di Subiaco – per giungere a Tivoli impiegano circa una ora e mezza.

«Occorre organizzare e riqualificare i servizi socio-sanitari – sottolinea ancora Aceti – al fine di offrire le giuste tutele in termini di tempestività e sicurezza, soprattutto nella capacità di trattare le emergenze e rispondere sui territori in cui si vive all’effettivo bisogno di salute, in particolare nelle condizioni di cronicità e fragilità. Tutto ciò non potrà essere realizzato se non si analizza la realtà nella quale si vuole intervenire, non si garantisce la “contemporaneità” delle riconversioni e del potenziamento dell’assistenza territoriale, e non si coinvolge nel processo la cittadinanza e le organizzazione civiche e di pazienti».
Di qui, dunque, le otto Raccomandazioni Civiche, qui di seguito elencate, che il Tribunale per i Diritti del Malato chiede siano prese in considerazione e applicate dalle istituzioni a livello nazionale, regionale e locale:

1. Il processo di riorganizzazione
dell’assistenza ospedaliera non può basarsi sul solo numero di posti letto presenti nella struttura.
2. A monte della decisione sono necessarie una valutazione del fabbisogno, un’indagine epidemiologica e una mappatura dei servizi esistenti.
3. La scelta di chiusura o riconversione degli ospedali dev’essere fatta considerando fattori come:
– Fabbisogno di salute della popolazione di quella specifica zona – Incidenza di particolari patologie croniche su quel territorio – Presenza di altre strutture ospedaliere nelle zone limitrofe (che possano configurare eventuali situazioni di duplicazioni di presidi) – Qualità e sicurezza delle strutture che dovranno essere chiuse o riconvertite – Caratteristiche specifiche di quel territorio in termini di orografia e flussi turistici (come zone montane, piccole isole ecc.) – Esistenza di un servizio di trasporto efficace e tempestivo dalla zona dove verrà chiusa la struttura agli ospedali che rimarranno attivi, in particolare in caso di urgenze e di servizi collegati (ad esempio emodinamiche, stroke unit ecc.) – Qualità, accessibilità e capacità di rispondere ai bisogni della popolazione (efficacia) da parte dell’assistenza presente su quel territorio: diffusione del servizio ADI (Assistenza Domiciliare Integrata), case della salute, lungodegenze, riabilitazione…
4. Garantire la contemporaneità degli interventi legati alla riconversione.
5. Garantire un’organizzazione dell’offerta socio-sanitaria territoriale e di prossimità adeguata a farsi carico del bisogno di salute della comunità.
6. Garantire la sicurezza degli interventi di emergenza-urgenza, assicurando una corretta e razionale dislocazione dei servizi ad essi dedicati, anche attraverso processi di riconversione (Punti di Primo Soccorso, DEA di I e II livello ecc. [DEA sta per Dipartimento di Emergenza e Accettazione, N.d.R.]), un numero congruo di ambulanze medicalizzate, il funzionamento ventiquattr’ore su ventiquattro del servizio di elisoccorso e la distribuzione di servizi collegati alla gestione delle emergenze come le emodinamiche.
7. Prevedere spazi di condivisione e partecipazione delle comunità locali e delle organizzazioni civiche e di pazienti ai processi di riorganizzazione della rete ospedaliera e dei servizi territoriali, nonché sulla valutazione costante (es.: audit civico) dell’impatto della scelta maturata e attuata.
8. Prevedere un piano di comunicazione rivolto alla cittadinanza sulla riorganizzazione. (CnAMC di Cittadinanzattiva)

È disponibile il testo integrale (in formato .pdf) del dossier curato dal Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva di cui si parla nella presente nota. Per ulteriori informazioni e approfondimenti: cnamc@cittadinanzattiva.it.

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