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Carissimi ausili: l’elevatore a binario

Elevatore a binario in casa di Giorgio Genta

L’elevatore a binario “raccontato” da Giorgio Genta

È soprattutto l’ironia – come di consueto – la cifra scelta da Giorgio Genta per avviare questa volta nel nostro giornale – dopo la lunga serie di testi dedicati alla Famiglia con disabilità. Viaggi nella società inclusiva – una nuova mini-rubrica, denominata appunto Carissimi ausili (con malcelato doppio senso riferito sia allutilità che al costo degli stessi), ove se ne racconta il “lato oscuro”, partendo da quelli utilizzate in casa dalla figlia Silvia, giovane donna con disabilità.

Non fosse per il sinistro cigolio che emette quando è in funzione, lo definirei un “servitore muto”; il suo vero nome, invece, è elevatore a binario e da un paio d’anni abita il cielo della stanza di Silvia. Ci sovrasta da lassù, a circa tre metri di quota, benevolmente nei giorni in cui è di buon umore, mentre in quelli di “luna storta” attorciglia stizzosamente la cinghia che regge il bilancino con l’imbragatura, costringendo poi l’addetto alla manutenzione minuta – ovvero colui che scrive – ad improbabili acrobazie su una traballante scala e con un ferro da stiro caldissimo in mano, per ripristinare la corretta avvolgibilità della cinghia medesima.
Una persona più avveduta del sottoscritto avrebbe capito subito che la tecnologia supportante l’ausilio in questione non era cosa alla portata di un vecchietto ultrasessantacinquenne, “fornito” però di tutte le problematiche di un ultracentenario di quella zona della Sardegna famosa per la longevità dei suoi abitanti… Di conseguenza si sarebbe astenuta dall’acquistarlo, modificarlo, montarlo e soprattutto dall’utilizzarlo con Silvia.
Il fatto poi che mentre la spericolata “aviatrice”, saldamente (?) avviluppata dall’imbragatura e sospesa a un metro e novanta centimetri di quota, subisca una lenta rotazione in senso opposto a quella terrestre, viene talvolta interpretato dal più benevolo degli osservatori (Milton, cane dalmata di circa cinque anni, animale schizofrenico, paranoico e di leggiadro aspetto, ex trovatello abbandonato nel bosco e, ahimè, poi adottato con la qualifica ufficiale di “cane di Silvia” e come tale più intoccabile di un ambasciatore della Serenissima Repubblica di San Marco presso il Gran Sultano nel XIV secolo), come un efficace contributo alla pluralità dell’informazione, potendo l’“emulatrice del Barone Rosso” spaziare alternativamente – senza nemmeno spostare capo e occhi – dalla TV alla portafinestra con vista su una malpotata siepe di pitosfori, nonché sulla casetta dello stesso Milton.

Per quanto poi riguarda il comando a distanza via cavo dell’elevatore – sanamente concepito per funzionare con il tasto Sali in alto e quello Scendi in basso, per via di una lieve personalizzazione in fase di montaggio – funziona naturalmente all’inverso:  schiacciando cioè il tasto Scendi, la “Baronessa Rossa” tenderebbe ad incastrarsi assieme alla sua imbragatura di sollevamento nelle svariate ruote dentate del macchinario, se non venisse salvata ogni volta dai molteplici apparati di sicurezza astutamente collocati dal costruttore.
L’uso dell’imbragatura – di cui già si è detto – non è per altro di facilissima comprensione: essa è dotata infatti di quattro cinghie di ancoraggio doppie, disposte a croce di Sant’Andrea, e ognuna di esse ha tre possibili posizioni d’uso, il che permette – in termini puramente matematici – circa 18.964 possibili combinazioni di ancoraggio al bilancino dell’elevatore: se non siete dotati di buona memoria (io ne sono privo in assoluto), impiegherete circa cinque giorni e sei ore a provarle tutte. Se invece avete buona memoria, basteranno otto secondi a trovare quella idonea al corretto sollevamento.

A proposito poi del suddetto bilancino, in lucido acciaio inox, parzialmente imbottito e illeggiadrito da un’incisione criptica assai simile a quella che si trova all’inizio del secondo capitolo del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, ma che sospetto ne indichi la portata in libbre scozzesi, val la pena rammentare che quella stessa parziale imbottitura lascia bellamente esposte le estremità del gancio con doppia sicurezza, sicurissime appunto, ma di effetto assai doloroso quando vanno a urtare la zona oculare del manovratore, forse distrattosi un attimo per via dell’insistente abbaiare di Milton che reclama il terzo pasto del mattino.
Secondo alcuni, tra l’altro, è stato proprio in questa circostanza che venne creata la famosa frase «Non parlate al conducente» durante le operazioni di sollevamento (con abbaiar di cane parificato al linguaggio umano).
Per tenere quindi occupata una mente malata, si è escogitato un machiavellico supporto che regge il binario di scorrimento dell’elevatore medesimo, sì che la ragazza possa spaziare dal letto al tavolo di fisioterapia, fino alla carrozzina, senza essere toccata da mano umana (il leggendario M.O.S.T.R.O., ricordate, acronimo che sta per Modulo Onnicomprensivo Sinergico alle Tecniche Riabilitative Olistiche del quale avevo già scritto su queste stesse pagine).
Se poi avessi trovato prima la foto pubblicata a corredo di questa pagina, avrei risparmiato a tutti la tortuosa descrizione dell’elevatore. E forse sarebbe stato meglio, vero?

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