Lo sport dev’essere per tutti e di tutti

«Oggi il disabile – scrive Rosa Mauro – è un “atleta” oppure una “persona cui fare la fisioterapia”. Perché mai, invece, non può essere una persona attiva che sceglie uno sport per relax? Perché deve avere una giustificazione per fare sport, che non sia lo sport in sé? E che sia questo il motivo per cui è così difficile, da parte di un Comune come quello di Roma, rendere realmente accessibili le proprie piscine comunali?»

Una giovane con disabilità entra in piscina tramite un sollevatore

Una giovane con disabilità entra in piscina tramite un sollevatore

Sport e disabilità è un binomio che la comunicazione ha scoperto da poco, specie grazie a una finalmente giusta copertura delle Paralimpiadi, tramite le quali la gente ha potuto comprendere che la “fisicità diversa” non significa assenza di fisicità, anzi.
Tutto a posto quindi? Purtroppo no, le Paralimpiadi, infatti, hanno acceso i riflettori sull’agonismo, ma lo sport non è solo questo, anzi. Fare sport, infatti, significa usare il proprio corpo, riconquistarlo dopo un periodo in cui lo si era perso o guadagnarselo nel tempo.
Correre, veleggiare, nuotare non può essere solo ad appannaggio degli atleti paralimpici, perché lo sport non è solo competizione. Sembra però che la figura del disabile “dilettante” non esista e non venga comunque molto incoraggiata. Infatti, al di là dei servizi sugli atleti “professionisti”, se si provano a contare quelli che riguardano lo sport dilettantistico e chi se ne occupa, la visibilità diminuisce drasticamente.
Ma cosa comporta questo? Che chi scrive – residente nella zona nord di Roma – è circondata da almeno sei piscine, di cui tre comunali, tutte, però, per i cosiddetti “normali”, attrezzate per loro e assolutamente incuranti, nel 99% dei casi, delle esigenze di una persona con disabilità.
Vi sono sì i centri che fanno idrokinesiterapia, ma, appunto, quella è terapia e non sport. L’unica piscina che fa eccezione, è in Via di Bravetta, appaltata alla Juventus Nuoto, con l’entrata agibile e uno spogliatoio con annesso bagno adatto ai disabili. Nemmeno quella, tuttavia, è dotata di percorsi tattili per arrivarci e quindi, in ogni caso, le persone con doppia disabilità non riescono a recarvisi autonomamente. E soprattutto non ha il sollevatore, cosicché quando entro e quando esco, devo avere a disposizione una persona per l’entrata e due per l’uscita.
Da persona parecchio riservata, non posso dire che essere presa per le braccia con un galleggiante e tirata su di peso mi faccia proprio piacere. Quando perciò ho chiesto spiegazioni per la mancanza del sollevatore – e anche dei percorsi tattili – mi è stato detto che il Comune di Roma appalta la piscina, ma che tutti gli adeguamenti per l’accessibilità sarebbero a spese della struttura. Quindi, se io devo fare sport, devo adeguarmi a una situazione che non garantisce la mia autonomia e indipendenza, in barba a tutte le leggi sugli edifici pubblici che dovrebbero essere accessibili!

Eppure, stare in piscina è uno degli sport non solo più accessibili, ma anche più completi e soddisfacenti, per chi ha problemi di movimento e anche di vista, con l’acqua che costituisce, per il suo impatto con la pelle, quasi una seconda vista corporea.
In acqua, una persona ipovedente grave come me riesce a ricostruire una “mappa corporea” molto più perfezionata che in aria, perché l’acqua ha un contatto migliore, in quanto fluido, con il tatto, attraverso la pelle. E per la mia mobilità – persa tardi e che quindi devo riacquistare all’insegna della fisicità – essa restituisce una sensazione di libertà che a terra di certo non trovo. Il tutto, poi, senza intermediari, terapisti e via discorrendo.
Insomma, lo sport dovrebbe essere reso possibile a ogni individuo che lo desideri e consigliato anche a chi non crede di desiderarlo. Le ultime ricerche neuroscientifiche, tra l’altro, confermano che il movimento è stato una parte importante nello sviluppo cerebrale umano, ma confermano anche, attraverso simulazioni al computer, che non c’è un solo tipo di movimento.
Lo sport spesso permette di comprendere e migliorare il proprio personale tipo di movimento, senza dover essere in competizione con altri che non siano te stesso o te stessa. E tuttavia, normalmente, esso non viene associato realmente alle persone con disabilità, a meno che non sia legato – come scrivevo all’inizio – a una qualche attività competitiva, ciò che non accade invece per i cosiddetti “normali”.
Provate a farci caso: nessuno spot o messaggio promozionale dedicato all’attività sportiva cosiddetta “libera” ha per protagonista un disabile. Ma questa mancanza di mentalità sportiva porta con sé delle conseguenze non indifferenti. Il disabile, infatti, è un “atleta” oppure una “persona cui fare la fisioterapia”. Perché mai, invece, non può essere una persona attiva che sceglie uno sport per relax? Perché deve avere una giustificazione per fare sport, che non sia lo sport in sé? E che sia questo il motivo per cui è così difficile, da parte del Comune di Roma, rendere completamente accessibili le piscine comunali?…
Per conoscenza di tutti – Amministratori compresi -, ci sono oggi sollevatori che costano meno di 10.000 euro, che non credo possano definirsi come una “follia” per i bilanci comunali, e dopotutto – nello specifico di Roma – basterebbe (orrore e utopia?), attrezzare almeno una piscina comunale per ciascuna zona della città, permettendo così a me – e a quelli come me, cittadini normali che vogliono stare in acqua anche solo per godersi una nuotata “a cagnolino” – di farlo e basta. Per uno sport davvero di tutti!

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