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La cultura dell’incontro

29 marzo 2014: incontro di Papa Francesco con il Movimento Apostolico Ciechi e con la Piccola Opera dei Sordi

Un’immagine dell’incontro del 29 marzo di Papa Francesco con il Movimento Apostolico Ciechi e la Piccola Opera dei Sordi

Il 29 marzo scorso Papa Francesco ha incontrato in San Pietro il Movimento Apostolico Ciechi – di cui chi scrive è stato in anni passati presidente nazionale -, e la Piccola Opera dei Sordi, due organizzazioni ecclesiali, diverse per finalità e vita organizzativa, ma che hanno in comune lo scopo dell’inclusione ecclesiale e sociale delle persone con disabilità.
Il discorso del Papa non è stato, come ormai ci ha abituati, denso di princìpi e di alta cultura, ma semplice e di grande ispirazione evangelica. Egli infatti ha centrato il suo intervento pastorale sulla contrapposizione tra la cultura dell’esclusione e quella dell’incontro, prendendo lo spunto da episodi evangelici come quello del cieco, escluso dalla società civile e religiosa del suo tempo, poiché ritenuto colpito da maledizione divina e che Gesù invece vuole incontrare per ridargli la piena dignità, con l’acquisizione della libera autonomia di movimento nella società di tutti.

I riferimenti pastorali degli ultimi Papi all’inclusione si sono fatti sempre più frequenti, a partire da Papa Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II, e sono diventati fondamentali in molti discorsi e documenti di Paolo VI e Giovanni Paolo II, con la proclamazione del diritto delle persone con disabilità all’inclusione sociale ed ecclesiale, sia in Italia che negli altri Paesi del mondo.
Quello che colpisce nel discorso di Papa Francesco è la chiarezza con cui ha contrapposto le due culture, così come segue: «Ecco due culture opposte. La cultura dell’incontro e la cultura dell’esclusione, la cultura del pregiudizio, perché si pregiudica e si esclude. La persona malata o disabile, proprio a partire dalla sua fragilità, dal suo limite, può diventare testimone dell’incontro: l’incontro con Gesù, che apre alla vita e alla fede, e l’incontro con gli altri, con la comunità. In effetti, solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite, può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società».

È innanzitutto importante che il Papa abbia distinto tra “persona malata” e “persona con disabilità”, giacché la prima è connotata da una situazione sanitaria, mentre la seconda risente degli esiti di una malattia e comunque è caratterizzata dalle varie barriere frapposte dalla società alla sua inclusione. Questa distinzione, per altro, non è ancora presente nella Conferenza Episcopale Italiana che accomuna in un’unica Consulta le persone malate e quelle disabili.
Inoltre, la cultura dell’esclusione – presente anche in molte mentalità e realtà di Pubbliche Istituzioni – è basata sul “pregiudizio”, mentre quella dell’incontro si fonda non solo sulla coscienza della propria fragilità, ma soprattutto sulla volontà di incontrare e farsi incontrare, per intrecciare rapporti religiosi, umani, sociali e politici significativi.
Grazie proprio al Concilio Vaticano II, sono ormai lontani i tempi in cui molte persone religiose invitavano quelle con disabilità ad accettare le proprie sofferenze e ad offrirle per lo scomputo dei peccati propri e degli altri. Era questo un atteggiamento pastorale, dettato da una cultura religiosa passivizzante e alienante, che concedeva alle persone con disabilità solo la gratificazione “spiritualistica” di offrire i propri sacrifici per la salvezza spirituale degli altri.
Ormai, grazie a una rilettura più autentica del Vangelo e alle lotte di emancipazione laiche per la conquista dei diritti di uguaglianza delle persone con disabilità e delle loro associazioni e federazioni, la cultura dell’inclusione è divenuta universalmente accettata, propugnata e diffusa e trova anche in molte comunità religiose un ulteriore stimolo promozionale, concretizzatosi nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che è un patrimonio comune a credenti e non credenti.

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