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Scuola e umanità vera dovrebbero essere sinonimi

Bimbo alla lavagan con aria corrucciataIn questi giorni è ormai imminente la fine dell’anno scolastico e, mentre scrivo, non so ancora come finirà davvero per mio figlio. In teoria, sarebbe tutto semplice: esiste una legge che gli garantisce non solo l’ammissione agli esami, ma il loro svolgimento secondo le modalità più idonee per la sua disabilità.
Giovanni, ragazzo autistico che non legge e non scrive, ma parla e apprende secondo le sue modalità, anche se non standard, avrebbe dunque tutte le possibilità di svolgere un esame sul suo PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.], che ha diligentemente seguito durante l’anno, con l’insegnante di sostegno, con l’AEC (Assistente Educativo Culturale) e con l’assistente tiflodidattica. Questa volta, poi, è stato pure fortunato: per l’ultimo anno alle scuole medie, infatti, il suo team si è stabilizzato e ha lavorato coerentemente in base a un programma sulle autonomie condiviso e discusso nell’unico GLH (Gruppo di Lavoro Handicap) svolto.
Tutto bene, dunque? No! Perché nella scuola la coordinatrice della disabilità e il Consiglio di Classe hanno deciso che non sapevano se mandare avanti o no Giovanni e, soprattutto se fargli fare o meno gli esami, in barba alla legge, e in barba sopratutto ad ogni esigenza di tutela e di non discriminazione di un alunno che ha fatto si o no cinque assenze in tutto il corso di studio, una dall’inizio di questo terzo anno. Senza parlare – ma parliamone pure, perché no? – della mancanza di rispetto verso tutto il suo team, che si è impegnato ed è riuscito a ottenere ottimi risultati sulle autonomie e sulla capacità di gestione sociale di Giovanni.

Sono dunque andata personalmente a far presente la legge, senza andare troppo il sottile, come mi càpita sempre, quando subodoro malafede e ignoranza. Mi sono sentita però ridere in faccia e dire che loro «avevano più esperienza di me»…
Per fortuna c’era anche mia madre, che ha insegnato per trentacinque anni e quindi non come nonna, ma come docente dall’esperienza molto maggiore di loro, ha ricordato di non aver mai sentito che non si ammettesse all’esame un allievo disabile con un PEI regolare e la capacità di affrontare un esame, essendo un autistico verbale.
A quel punto hanno ribadito che faranno «quello che credono giusto» e, a quanto so, al GLH di Istituto – cui i genitori dei ragazzi coinvolti non sono stati invitati – hanno proposto, bontà loro, l’ammissione, ma senza esame finale.
Altra cosa pure molto grave, non è stato nemmeno invitato il team di Giovanni, che avrebbe giustamente spiegato come questi fosse perfettamente in grado di sostenere un esame sul suo programma. Un esame che forse – anzi senza forse – non serve a conseguire un diploma come gli altri, ma mette un punto a un lavoro di formazione personale e crescita sociale, còmpito che dovrebbe essere primario per la scuola.
Non sono le nozioni che dovrebbero prevalere, non sapere quando e come “è nato Manzoni”, ma la capacità dei ragazzi di diventare uomini in grado di inserirsi socialmente e di trovare il proprio cammino, e la propria utilità nel mondo.
Questo, per altro, dovrebbe valere per tutti e non solo per i ragazzi come Giovanni, i quali sono lì proprio per insegnarci che fare scuola non è solo mettere insieme pagine di libri letti! Infatti, la sfida di Giovanni e degli altri ragazzi con disabilità dovrebbe rendere onore a una scuola di tutti e per tutti, dovrebbe essere un’occasione irripetibile per andare oltre e rivedere finalmente il proprio ruolo primario, al di là di prove INVALSI e schedature che lasciano davvero il tempo che trovano.

Per tutti e cinque i ragazzi con disabilità del loro istituto, quest’ultimo vorrebbe dunque escludere la possibilità di un congedo reale, come fossero dei “paria” che non hanno diritto nemmeno a terminare come gli altri il corso di studi.
Non ho idea di come abbiano preso le altre mamme quella “carità pelosa”, esplicata dapprima con un’attenzione premurosa per quei ragazzi che «non volevano mettere sotto stress» (sotto stress con un esame personalizzato? Non credo sia possibile), poi con una più autentica – si fa per dire – preoccupazione.
È che in quei giorni ci sono anche gli esami degli altri ragazzi, quelli che la scuola considera “propri”, che fanno i test INVALSI e vanno “in fila per tre”. Loro devono fare gli scritti: e se poi i nostri ragazzi li disturbassero?
E dunque, finalmente, si è gettata la maschera, dopo tre anni di finta solidarietà, ma di rospi ingoiati per docenti che mandavano Giovanni sempre fuori dalla classe, con rassicurazioni di uguaglianza, ma curiose “dimenticanze” di gite, del tipo «ooops… Ma perché? Lui ci voleva venire?».

Ora l’amarezza è tanta, ma io spero ancora che faranno la cosa giusta. Per loro, ancor prima che per Giovanni, perché una scuola di questo tipo non preparerà futuri cittadini in grado di creare una società giusta e libera.
In questi giorni è in discussione anche una Proposta di Legge sull’autismo, promossa in particolare dal giornalista e scrittore Gianluca Nicoletti. Ebbene, so che tale Proposta riguarda anche la scuola, ma voglio ricordare a Nicoletti che le leggi ci sono, per tutti i disabili, belle e giuste. L’importante, anzi l’essenziale, è che esse vengano conosciute e applicate da tutti. Ma dirò anche di più: queste leggi, la gente deve arrivare ad amarle, perché scuola e umanità vera siano sinonimi.

Proprio subito dopo la pubblicazione di questo testo, la stessa Rosa Mauro ci ha informato di essere riuscita a interloquire con il Dirigente Scolastico di riferimento il quale ha assicurato che Giovanni sosterrà l’esame. «Spero ancora che faranno la cosa giusta», aveva scritto Rosa e così fortunatamente è stato. «Cosa curiosa – sottolinea oggi con un pizzico di malizia – è accaduto che i piani alti” si siano mossi per aggiustare il tiro, subito dopo la pubblicazione del mio testo in “Superando”. Ma guarda il caso…».

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