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Canestri senza confini anche a Kabul

Nazionale afghana di basket in carrozzina

La Nazionale afghana di basket in carrozzina

In fondo è sempre una questione di priorità, specie in una zona dove le guerre sono state di aggressione o di difesa o tribali o civili o… Insomma, guerre. Ogni volta, in Afghanistan, ci sono altre cose più importanti.
«Quando sono arrivato, era il 1990, lavoravo in un ospedale per le vittime di guerra. O meglio, per tutti. Nel ’92 i Mujahiddeen presero il potere. I combattimenti si intensificarono, ma il Centro Ortopedico fu chiuso. La riabilitazione fu sospesa. C’erano molte altre cose, non era considerata una priorità». Alberto Cairo, ortopedico a Kabul, è da oltre vent’anni l’avamposto della Croce Rossa nella capitale dell’Afghanistan. Varie traversie e il Centro riaprì. Un giorno gli dissero: «E se facessimo sport?». Fu lui, allora, a non considerarlo così importante. Cambiò idea. Ora, in questi giorni, la Nazionale di basket in carrozzina afghana è stata in Italia, a giocare, imparare e divertirsi.

Ci sono poliomielitici (basterebbe una vaccinazione di pochi euro, basterebbe…), amputati per quelle mine che non finiranno mai, paraplegici reduci da guerre infinite. Per la prima volta sono usciti dal loro Paese. Hanno visto il mare: «Ma è tutto salato?». È stato lo stesso Cairo a guidare la trasferta.
Mohammad Saber Sultani ha 24 anni e viene da Kabul. Aveva 3 anni quando saltò su una mina e gli vennero amputate entrambe le gambe: «Ci alleniamo tre ore ogni mattina e due ore ogni pomeriggio».
L’allenatore viene dagli Stati Uniti, Jess Markt, amore per la pallacanestro e l’Afghanistan, ex giocatore anche lui in carrozzina, due mesi all’anno a Kabul.
Farhad Mohammadi è stato colpito dalla poliomielite appena dopo la nascita: «Fino a quando avevo sette anni mi trascinavo sulle mani e sulle ginocchia». Andò con i genitori al Centro Ortopedico della Croce Rossa a Herat. Cominciò con lo sport. Ora cammina.
Shahpoor Sorkhabi ha 21 anni e nel 2003 in un incendio gli bruciarono i piedi: «Amo la pallacanestro, mia madre non voleva giocassi. Mi piace anche il calcio, il mio giocatore preferito è Ronaldo, porto il 7 per lui». Storie così, fra guerra e povertà.

Sono stati in Italia fino al 30 maggio. Il Progetto Canestri senza confini iniziò in un giorno di un anno fa, dall’incontro tra la Briantea84 Cantù, società che definire paralimpica è riduttivo, e Alberto Cairo, anche lui sottostimato in quello che fa. Il suo a Kabul, infatti, è il più grande progetto ortopedico che la Croce Rossa Internazionale ha nel mondo. «Venite in Italia, vi ospitiamo noi», disse Alfredo Marson, presidente della Briantea, straordinaria società che nelle sfide impossibili trova il suo habitat naturale. Da qui l’organizzazione di una trasferta che mette un altro pezzo nella storia dello sport afghano, dopo la prima partecipazione femminile a una Paralimpiade, ad Atene 2004. Ed è arrivata anche la collaborazione della Federazione Pallacanestro in Carrozzina, che ha invitato l’Afghanistan al torneo internazionale disputato all’interno del Salone Exposanità di Bologna. Poi, sotto l’ala protettrice dell’Esercito Italiano (con i militari della Caserma Ugo Marra di Solbiate Olona e la disponibilità del Generale Giorgio Battisti, Comandante dei NATO Rapid Deployable Corps), il trasferimento in Brianza, con un quadrangolare a Seregno, vicino a Milano, un incontro pubblico con Cairo protagonista e infine la partita spettacolo con i Campioni d’Italia dell’Unipol Cantù, allo storico Palazzetto Pianella di Cucciago, casa di tanti successi internazionali, per festeggiare il Campionato Italiano appena vinto.

Sembrava impossibile in quei giorni in cui tutto nacque, quando dissero ad Alberto: «Proviamo a fare sport anche qui». Era il 2010. L’anno dopo Cairo lo raccontava in un Ted Talks, le brevi conferenze nate negli Stati Uniti che mostrano il mondo e chi lo migliora, come lui: «Beh, non credo che i cambiamenti in Afghanistan siano finiti; per niente. Stiamo andando avanti. Abbiamo appena iniziato un programma nuovo, attraverso lo sport: il basket in carrozzina. Le portiamo ovunque. All’inizio, quando Anajulina mi disse “vorremmo avviarlo”, ho esitato. Ho detto “no”. Ho detto “no, no, no, no, non possiamo”. E poi ho fatto la solita domanda: “È una priorità? È davvero necessario?”, Bene, ora non perdo un allenamento. La notte prima di una partita sono molto nervoso. E dovreste vedermi durante la partita: sembro proprio un vero italiano!».
Primo sport la pallacanestro, perché poi Cairo è un vecchio baskettaro, Forst Cantù nel cuore (Anni Settanta, allora era quello lo sponsor), nel cuore, il Pierlo Marzorati come giocatore di riferimento. Ma ci sono anche badminton, pallavolo e cricket indoor: «Faccio l’aiutoallenatore, l’arbitro, il dirigente». Sembra di sentire le vecchie società sportive di una volta, quelle degli oratòri o dei circoli. «Non so come ho fatto a non pensarci prima, lo sport ha il potere di cambiare le persone e le loro vite in meglio».

Testo già apparso – con il titolo “Canestri in carrozzina a Kabul. La Nazionale afghana in Italia” – in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

Per approfondire i temi trattati nel presente testo:
– La trasferta italiana nel sito della Croce Rossa Internazionale a New Delhi.
– Il TED Talks di Alberto Cairo.
– Il blog di Jess Markt, coach della Nazionale Afghana, con i profili dei giocatori.
– Il Progetto Canestri senza confini, dal sito della Briantea84 Cantù, con il programma in Italia della Nazionale Afghana e di Alberto Cairo.
– Il post di «Gazzetta dello Sport.it» che annuncia l’arrivo della nazionale in Italia.
– La storia di Mareena, prima donna afghana a una Paralimpiade, da «Corriere della Sera.it».

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