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L’emergenza del “come vivere”

John Bond Francisco, "Il bambino malato", 1893

John Bond Francisco, “Il bambino malato”, 1893

Il caso di Vincent Lambert – trentanovenne tetraplegico francese in stato vegetativo da sei anni, per il quale il Consiglio di Stato transalpino aveva sentenziato a favore dell’interruzione dei trattamenti che lo tengono in vita, decisione poi bloccata dalla Corte Europea dei Diritti Umani – e quello di Michael Schumacher, che riportano alla ribalta la condizione delle persone in stato vegetativo, sono le due facce di una stessa medaglia. Uno assurto al bagliore delle cronache per la “lotta” tra familiari e medici intorno a una vita che ancora si fa fatica a riconoscere, l’altro reso invisibile dal suo status di campione, di persona fuori dal comune, colpita da una condizione che si nega alla vista, forse perché si vorrebbe “speciale” e non assimilabile alle altre.
Entrambi sono uniti da un minimo comun denominatore: i familiari e la classe medica intorno a loro. Se qualcuno decide che possono morire, a chi appartengono queste vite che non si esprimono direttamente e che continuano a vivere e comunque a comunicare? Sicuramente sono del loro contesto familiare, poi appartengono alle regole della comunità nelle quali vivono. Una comunità disattenta, che lascia i familiari in balia di se stessi, nel loro buon senso e nel diverso sentire.

Nella mia esperienza ho notato la forza delle “madri del risveglio”, quelle che hanno avuto ragione: i loro figli si sono svegliati. Queste madri giustificano la speranza, il lavoro terapeutico dei sanitari, il fatto che crederci, pensare, essere uniti nella fede, nell’energia, nella vita, alla fine è vincente. Ma ho visto anche le “madri del risveglio negato”, che hanno creduto, hanno pensato e sperato «si sveglierà», ma il risveglio non è avvenuto. Così come ho visto anche la forza delle “vedove bianche”, mogli di uomini in stato vegetativo, lottare insieme per rendere vivo il loro quotidiano nel difficile percorso di vita.

Vincent Lambert, Michael Schumacher, Terry Schiavo, Eluana Englaro, solo per citare alcuni casi eclatanti, portano alla luce un’emergenza. Che non è quella dell’eutanasia e del “può morire”, ma che è quella del “come vivere” e convivere con la malattia. E ci riguarda tutti. E non conta se uno è famoso o è ricco. Perché i soldi in questo caso poco potranno sul risveglio.
Allora è sbagliata la contrapposizione, è sbagliata l’invisibilità di tutti i giorni sulle migliaia di famiglie che non sono Vincent Lambert, non sono Michael Schumacher, né Terry Schiavo, eppure vivono gli stessi problemi.

Si deve partire dalla tutela delle vite fragili, dalla cura delle persone in stato vegetativo e delle loro famiglie. Le nostre Regioni dovrebbero aiutarle, queste famiglie (anche nel riconoscimento del loro lavoro di caregiver), stimolando il Governo a sorreggerle con leggi adeguate. Una legge sul diritto di cura di queste persone e poi una legge sul “morire bene” di chi vuole autodeterminare la propria fine.

*Direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma dell’Associazione Gli Amici di Luca di Bologna.

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