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Sembra pian piano avviarsi il faticoso meccanismo del lavoro

Foto dall'alto di persone al lavoro a un tavolo, tra le quali uno in carrozzinaRisposte e fatti, non chiacchiere inutili. È quello che vuole chi cerca lavoro, sia esso disabile, giovane in cerca di primo impiego od over 50. Lo ha chiesto a gran voce, ad esempio, con chiarezza esemplare, Giulia Panizza, in una sua lettera inviata a InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it». Ed è quello che chiedono i 700.000 iscritti alle liste di collocamento mirato presso i Centri per l’Impiego, quelli che guardano sconsolati, e ormai, disillusi, le offerte per le cosiddette “categorie protette”, in attesa di qualcosa che possa essere una vera opportunità professionale. Qualcuno prova a dare le prime risposte. Timide, talvolta appena accennate, ma sembrerebbe che il meccanismo si stesse faticosamente avviando.

Ne è riprova anche un convegno tenutosi all’inizio di luglio all’Università Cattolica di Milano, organizzato dall’ASAM, l’Associazione per gli Studi Aziendali e Manageriali dell’Ateneo ospitante, dal titolo Disabilità in azienda: dall’obbligo di legge alla generazione di un’occasione di sviluppo [se ne legga la presentazione nel nostro giornale, N.d.R.]. «Non ci attendevamo una risposta così significativa – racconta Riccardo Nava, direttore dell’ASAM -, abbiamo riempito la sala. Erano presenti numerosi responsabili del personale di grandi e medie imprese nazionali, segno che la disabilità nel lavoro comincia a suscitare un certo interesse».
Da un lato infatti, con la crisi, le sanzioni per le imprese che non assumono persone con disabilità diventano uno spreco di denaro che le aziende non si possono più permettere e dall’altro il mondo imprenditoriale sta scoprendo che assumere persone con disabilità, scegliendo con accuratezza, può portare a vantaggi concreti. «Il disabile – sottolinea ancora Nava – può essere la persona giusta al posto giusto, una risorsa che produce e che permette all’azienda di assolvere pienamente agli obblighi normativi, ma non tutti conoscono le potenzialità dell’articolo 14 del Decreto Legislativo 276/03 [“Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30”, N.d.R.], che consente alle aziende di fare vere e proprie selezioni tra i candidati».

Un’altra dimostrazione di come il clima stia cambiando è la nascita di società di “cacciatori di teste” specializzati nel mondo della disabilità. «Lavoriamo sulle abilità e le conoscenze», racconta Mariadomenica De Vita di MConsulting, Società di Ricerca e Selezione del Personale che ha collaborato all’organizzazione del convegno alla Cattolica di Milano. «Tra i nostri clienti – aggiunge – ci sono aziende che hanno deciso di cambiare cultura attraverso attività di formazione, informazione e sensibilizzazione e hanno compreso che una risorsa preparata e formata lavora nel modo migliore, e diventa per l’azienda un valore aggiunto. Cerchiamo prima di tutto “professionisti”, con o senza disabilità, che soddisfino le esigenze delle aziende. L’essere disabili diventa un requisito secondario per il nostro processo di selezione. La nostra difficoltà, però, è entrare in contatto con persone con disabilità che abbiano questi skill [“abilità”, N.d.R.]; chiediamo infatti alle Università e agli Enti preposti di collaborare per lo stesso obiettivo».
De Vita non vuole nemmeno sentir parlare di barriere fisiche o culturali. «Le prime – afferma – si abbattono e le seconde… beh, se l’accompagnamento all’interno dell’azienda è fatto a dovere, e coinvolge anche i futuri colleghi/responsabili, i problemi sono superati. Anzi, capita spesso che siano gli stessi colleghi ad essere, dopo poco tempo, i primi “fan” delle persone con disabilità».

La sensazione che la disabilità sia un freno, però, rimane, anche se i “tecnici” dicono il contrario. «Càpita – prosegue Nava – che le persone con disabilità abbiano due curriculum distinti per rispondere alle offerte di lavoro, uno per quelle riservate alle “categorie protette” e uno per le altre situazioni. Come se considerassero che l’appartenere alle “categorie protette” facesse da freno. Invece è un incentivo per un’azienda che, se trova il profilo giusto, non esita ad assumere».
«Oltre alla possibilità di selezionare la persona con disabilità – conclude poi -, il citato Decreto Legislativo 276/03 permette altre forme di sostegno. In base ad esso, infatti, le aziende possono chiedere alle cooperative di impiegare persone con disabilità al posto loro e in cambio forniscono lavoro da svolgere in sede».

Dal canto suo, come è stato riferito anche durante il convegno di Milano, il Centro per l’Impiego di Lecco sta lanciando il programma denominato Adozione lavorativa, in base al quale il lavoratore con disabilità viene sostenuto economicamente da parte dell’impresa impossibilitata ad assumerlo, ma impiegato in un contesto lavorativo più adeguato alle sue condizioni. L’azienda dà un contributo annuo di 6.500 euro, mentre il Centro per l’Impiego Provinciale si impegna a trovare un luogo alternativo in cui inserire il lavoratore “adottato”. Fino allo scorso mese di aprile, erano state attivate 396 “adozioni” e circa un quarto sono diventate assunzioni regolari.

Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Lavoro: ‘eppure le aziende cercando disabili’”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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