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Dopo la Casa di Alice: alcune necessarie riflessioni

Un componente dei NAS dei Carabinieri

Sono stati i Nuclei Antisofisticazione e Sanità (NAS) dei Carabinieri a procedere agli arresti presso la Casa di Alice di Grottammare (Ascoli Piceno)

A distanza di qualche settimana dalla vicenda riguardante il Centro Diurno per persone con disabilità Casa di Alice di Grottammare (Ascoli Piceno), che ha portato all’arresto di cinque operatori con l’accusa di maltrattamento e sequestro di persona, sembra opportuno – anche riguardo a quanto ascoltato e letto, oltreché alle diverse sollecitazioni che ci sono giunte – offrire alcune precisazioni insieme a una riflessione più generale. Lo vogliamo fare perché, al di la delle responsabilità individuali che verranno accertate, riteniamo importante cercare di mettere in fila diverse questioni riguardanti questa – e non solo – tipologia di servizi. Soprattutto abbiamo a cuore che non si perda “l’insieme” delle problematiche e riteniamo fondamentale rispondere ad alcuni “perché” e “come”.

Il Centro Diurno Socio Educativo Riabilitativo (CSER) Casa di Alice
La Casa di Alice è un Centro Diurno con una storia del tutto particolare. Esso è infatti autorizzato come tale ai sensi della Legge Regionale delle Marche 20/02 ed è rivolto a disabili con «gravi deficit psicofisici che abbiano adempiuto l’obbligo scolastico», ma accoglie anche minori e adulti con autismo. Non è un Centro Diurno per soggetti autistici perché nelle Marche non esiste questa tipologia di struttura, seppure una Proposta di Legge sull’autismo ora in discussione presso la Commissione Consiliare li preveda (1).
Si tratta però di una struttura nata nel 1999, come “Centro diurno per minori con autismo” e in tal senso, nel sito del Gruppo Solidarietà, si può leggere l’ampio carteggio degli anni scorsi tra CAT Marche (Comitato Associazioni Tutela) e Comune di Grottammare, inviato anche alla Regione, riguardante appunto questa tipologia di servizio. In particolare era in discussione il fatto che potesse nascere – ed essere finanziato da parte della Regione – un Centro Diurno per minori con autismo.
Bisognerebbe inoltre essere molto cauti nelle definizioni di “fiore all’occhiello” o di “servizio all’avanguardia”, specie quando qualcuno le dà di se stesso. Una prudenza, questa, che le Istituzioni e chi le rappresenta troppo spesso, prese dalla frenesia dell’autocompiacimento, non hanno.
Dunque, è una scelta locale, attuata da Comuni e ASUR (Azienda Sanitaria Unica Regionale), quella di inserire nella struttura esclusivamente minori e adulti con disturbi dello spettro autistico. Considerata pertanto la particolare tipologia di utenza, sarebbe utile conoscere lo standard del personale, le qualifiche di esso e con quale quota sanitaria operi il Centro (2).

La cosiddetta “stanza di contenimento”
Molte inesattezze sono circolate nelle scorse settimane rispetto alla cosiddetta “stanza di contenimento”. Forse, dunque, è il caso di chiarire alcuni aspetti, anche per evitare che si rileggano o risentano affermazioni errate e fuorvianti.
Nei requisiti di autorizzazione dei Centri Diurni per disabili non è prevista alcuna “stanza particolare”. Tali requisiti sono disciplinati dal Regolamento 1/04 della Regione Marche (Autorizzazione delle strutture e dei servizi sociali a ciclo residenziale e diurno), come modificato dal Regolamento 3/06 (Regione Marche. Le modifiche al Regolamento sulle autorizzazioni alle strutture sociali – Del. 31-2006). Una Delibera del 2003 (n. 1206), riguardante il cosiddetto Progetto autismo, prevedeva poi finanziamenti regionali per l’adeguamento strutturale dei servizi diurni, stabilendo anche che la Regione stessa finanziasse anche interventi di riadattamento dell’immobile, con le seguenti indicazioni: «I lavori di riattamento devono consentire di ricavare una stanza per svolgere anche attività individuali con ciascun ospite autistico e per gestire eventuali momenti di crisi. La stanza deve avere una dimensione di non meno di 12 mq, disporre di adeguata aerazione ed illuminazione e non presentare punti pericolosi. La dotazione di attrezzature ed arredi, considerando la tipologia di utenza cui va destinata, deve essere minimale e prevedere un tavolo, due sedie, un divanetto, uno o due scaffali con rotelle» (3).
Appare dunque del tutto improprio parlare di “stanze di contenimento” o “di crisi”, previste addirittura come obbligatorie dalla legislazione regionale. Per altro la stanza della Casa di Alice osservata nel video diffuso dai Carabinieri appare ben diversa da quanto si scrive nelle indicazioni regionali ed è pertanto necessario chiarire perché si sia scelto di realizzare quel tipo di stanza e con quali obiettivi.

Ragazzo alla finestra, fotografato di spalle. Foto in bianco e nero

È stata una scelta locale, attuata da Comuni e ASUR (Azienda Sanitaria Unica Regionale), quella di inserire nella Casa di Alice di Grottammare esclusivamente minori e adulti con disturbi dello spettro autistico

Il Piano Educativo e la sua verifica
Ma, come detto, a parte le responsabilità individuali che verranno accertate dalla Magistratura, appare opportuno allargare la prospettiva di analisi.
In questo, come in altri servizi (dal domiciliare al residenziale), ci sono competenze specifiche che riguardano soggetti diversi (4). Il soggetto titolare del servizio (Comune), il gestore (in questo caso una cooperativa) e l’organismo con compiti di natura tecnica (ammissione, valutazione e verifica degli interventi). Per ogni persona, poi, dev’essere stilato un progetto educativo (il cosiddetto PEP, Piano Educativo Riabilitativo Personalizzato), come prescrive la citata Legge Regionale 20/02. Dovrà dunque risultare dalla documentazione di ogni singolo utente quale sia il progetto sulla persona e le modalità attuative. E sarebbe anche importante verificare – viste le immagini diffuse – quali siano state le risultanze delle riunioni settimanali di programmazione e verifica, insieme agli esiti delle supervisioni.
Qui entrano in gioco, quindi, anche i servizi territoriali della sanità. Nello specifico, considerato che in quel Centro vengono accolti anche minori, le Unità Multidisciplinari per l’Età Evolutiva (UMEE) e quelle per l’Età Adulta (UMEA), incardinate nel Distretto Sanitario.
Sul punto occorre evitare ogni ipocrisia. Le Unità Multidisciplinari, le cui funzioni sono disciplinate dalla Legge Regionale 18/96 (5), soffrono di una cronica e progressiva carenza di personale. Perché, dunque, non cogliere l’occasione di questo tragico evento per verificare in ogni singolo territorio, con riferimento alla popolazione, quali e quanti operatori (e con quale dotazione oraria) operino all’interno delle Unità multidisciplinari? Si tratta infatti di servizi e funzioni che si trovano sempre di più in stato di abbandono.
Come innumerevoli volte abbiamo denunciato, esiste un’abissale distanza tra funzioni assegnate e prassi, situazione, questa, frutto del colpevole disinteresse della Regione e dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale. E lo stesso discorso vale per le Unità Valutative Distrettuali, che hanno la funzione di valutare e prendere in carico le persone anziane non autosufficienti (6).
Regione e ASUR, quindi, procedano urgentemente, se non vogliono apparire “sepolcri imbiancati”, alla verifica delle dotazioni e del funzionamento di questi organismi. Verifichino, ad esempio, per i servizi diurni e residenziali della Legge Regionale 20/02 (CSER-Centri Diurni Socio Educativi Riabilitativi; COSER-Comunità Socio Educative Riabilitative; RP-Residenze Protette), come le Unità Multidisciplinari adempiano alle loro funzioni. E lo verifichino anche rispetto ai compiti connessi con l’integrazione scolastica (7). In sostanza, la loro attuale dotazione organica è compatibile con le funzioni assegnate?

Le figure professionali
Un altro nodo riguarda le figure professionali dei servizi previste dalla Legge Regionale 20/02, e in particolare per quanto riguarda la funzione educativa. Anche su queste problematiche il CAT Marche si è ripetutamente rivolto alla Regione e soprattutto – sullo specifico delle “figure educative” – allo scopo di dare attuazione all’articolo 5, comma 2 del citato Regolamento Regionale 3/06 (8). Purtroppo, ad oggi, nulla è cambiato e al di la dei percorsi formativi che ogni singolo operatore ha deciso autonomamente di percorrere (e molti lo hanno fatto), ad oggi, la stragrande maggioranza delle persone che lavorano nei servizi per la disabilità si è formata sul campo e non ha né il titolo di educatore, né di educatore professionale.

Verifiche e controlli
Da ultimo, ma non certo ultimo, la questione dei controlli. Oramai questa funzione – e si pensi alle ripetute e documentate violenze sugli anziani nelle strutture residenziali – sembra deputata esclusivamente ai NAS (Nuclei Antisofisticazione e Sanità) dei Carabinieri ed è evidente che se l’accertamento di irregolarità è delegato ai Carabinieri, vuol dire che c’è, strutturalmente, qualcosa che non funziona.
Anche qui, però, occorre essere molto chiari, evitando ogni sorta di ipocrisia, un ragionamento, questo, che riguarda, tutti gli interventi e i servizi rivolti a soggetti “non autosufficienti”, non in grado di tutelarsi. Le domande che poniamo sono datate e purtroppo non hanno mai ricevuto risposta. Ne sintetizziamo alcune:
– Come è stato applicato l’articolo 12 della Legge Regionale 20/02 (9) e il successivo articolo 9 del Regolamento 1/04 (10) in tema di controlli? La Regione, i Comuni e le loro Commissioni Tecnico Consultive quali risultati hanno determinato?
– Come mai quando in strutture autorizzate per soggetti autosufficienti vengono ricoverate persone malate e non autosufficienti (11), le Unità Valutative Distrettuali non intervengono? Non ne sono a conoscenza? Neanche quando, immediatamente dopo il ricovero, viene chiesta l’attivazione del servizio ADI (Assistenza Domiciliare Integrata)? O forse in mancanza di posti è più comodo far finta di nulla, evitando così di mettere in ulteriore difficoltà un sistema dei servizi già palesemente inadeguato?
– In quali strutture, infine, sono ricoverate le centinaia di soggetti con demenza e con significativi disturbi comportamentali delle Marche, considerato che a tutt’oggi sono meno di 100 i posti convenzionati per quelli che non hanno «rilevanti disturbi comportamentali» e forse un altro centinaio (ma il dato è solo ipotizzabile in quanto none esiste regolamentazione regionale) frutto di accordi locali tra Ente Gestore e Azienda Sanitaria Unica Regionale?

E per non concludere…
Lo scopo di questo approfondimento, pertanto, è duplice: da un lato chiarire alcune questioni oggetto di disinformazione in merito alla “vicenda Casa di Alice”, dall’altro segnalare ulteriori aspetti riguardanti responsabilità e competenze del sistema dei servizi sociosanitari. Ciò anche per evitare che passato il clamore mediatico, lasciate le questioni alle aule giudiziarie, tutto possa rientrare in un’“indifferente normalità”. E questo sarebbe imperdonabile.

Note:
(1) Così in una recente bozza: «Art. 7 (Strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale). – La Regione promuove e sostiene lo sviluppo delle strutture che costituiscono la rete di accoglienza esistente sul territorio regionale per soggetti autistici. – La Regione promuove sul territorio regionale la realizzazione di almeno tre centri dedicati ai soggetti con Disturbi dello Spettro Autistico che fungano contestualmente da centro diurno, centro residenziale e di sollievo avviando anche forme di sperimentazione. – I centri indicati ai commi 1 e 2 devono garantire sostegno alle famiglie attraverso lo svolgimento di attività psico-educative, di socializzazione ed integrazione con il territorio, oltre che attività ricreative e sportive. – I centri indicati ai commi 1 e 2 devono prevedere una dotazione organica composta da figure professionali qualificate e con comprovata formazione nell’ambito dei Disturbi dello Spettro Autistico. – I centri indicati ai commi 1 e 2 si avvarranno della consulenza e supervisione del Centro Regionale Autismo per l’Età Evolutiva e Centro Regionale Autismo per l’Età Adulta».

(2)
Nel 2008 (Determina n. 865), l’ASUR (Azienda Sanitaria Unica Regionale) dava un contributo forfetario di 30.000 euro. Secondo la bozza di Carta del Servizio, il Centro risulta autorizzato per 13 persone. Se presa a riferimento un’apertura di 48 settimane, la quota sanitaria sarebbe di poco inferiore a 10 euro per utente.

(3) Le disposizioni contenute nella Delibera di Giunta Regionale 1485/04 (Progetto “L’autismo nelle Marche: verso un progetto di vita” sotto-progetto “Residenzialità”) riguardano CSER (Centri Diurni Socio Educativi Riabilitativi) che prevedano anche stanze per residenzialità breve.

(4) Si veda in proposito il citato Regolamento Regionale 3/06 cui devono far riferimento i titolari del Servizio, la bozza di Carta del Servizio (cfr. precedente nota 2), oltre che il bando di affidamento del Servizio stesso, nel quale sono ulteriormente specificate le diverse competenze e responsabilità.

(5) La Legge Regionale delle Marche 18/96 reca Promozione e coordinamento delle politiche di intervento in favore delle persone in condizioni di disabilità.

(6) Cfr. Gruppo Solidarietà, Marche. Scheda normativa sulle Unità di valutazione distrettuale. Aggiornata al 20 agosto 2012, 27 agosto 2012.

(7) Si veda in proposito la lettera del CAT Marche (Comitato Associazioni Tutela), a firma di Fabio Ragaini, inviata l’11 aprile 2011 agli Assessori alla Salute, all’Istruzione e ai Servizi Sociali della Regione Marche, al Direttore dell’ASUR e per conoscenza all’Ufficio Scolastico Regionale e agli Ambiti Territoriali Sociali, avente per oggetto Integrazione alunni con disabilità. Competenze unità multidisciplinari. Verifiche Pei.

(8) Regolamento Regionale delle Marche 3/06, articolo 5, comma 2: «Al fine di promuovere l’aggiornamento, la formazione e la riqualificazione del personale in servizio, con particolare riferimento alle figure educative e di assistenza socio-sanitaria, la Giunta regionale definisce, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, i percorsi formativi ed i crediti necessari ad acquisire i titoli professionali o la certificazione di competenze equivalenti». Si vedano anche, nel sito del Gruppo Solidarietà, i messaggi diffusi dal 2004 al 2009 dal CAT Marche, aventi per oggetto: Problematiche applicative legge 20-2002. Riferimento incontro del 7.9.2009, Servizi sociali e sociosanitari. Figura professionale educatore ed Emanazione atti applicativi Regolamento regionale 3-2006 in materia di autorizzazioni sociali e sociosanitarie.

(9) Legge Regionale delle Marche 20/02, articolo 12 (Verifica periodica dei requisiti e vigilanza): «1. Il Comune, anche avvalendosi dei servizi del dipartimento di prevenzione dell’Azienda USL competente per territorio e tenuto conto di quanto stabilito dal regolamento di cui all’articolo 9, comma 1, procede a verifiche ispettive tese all’accertamento della permanenza dei requisiti delle strutture e dei servizi di cui alla presente legge. 2. I soggetti titolari delle strutture e dei servizi di cui alla presente legge inviano al Comune, con periodicità annuale, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà concernente la permanenza del possesso dei requisiti. 3. La Giunta regionale può disporre verifiche e controlli sulle strutture autorizzate e accreditate ai sensi della presente legge».

(10) Regolamento Regionale delle Marche 1/04, articolo 9 (Verifiche e controlli): «1. Ai sensi dell’articolo 12 della legge, il Comune e la Regione dispongono verifiche e controlli sulle strutture ed i servizi autorizzati avvalendosi anche della Commissione di cui all’articolo 4, comma 4, nonché dei servizi del dipartimento di prevenzione dell’Azienda USL competente per territorio. 2. Nel caso in cui sia accertata l’assenza di uno o più dei requisiti richiesti per il rilascio dell’autorizzazione, ovvero la presenza di un numero di ospiti superiore al massimo autorizzato, il Comune diffida il soggetto titolare a provvedere al necessario adeguamento entro il termine stabilito nell’atto di diffida medesimo. Tale termine può essere eccezionalmente prorogato, con atto motivato, una sola volta. 3. In caso di mancato adeguamento nel termine, ovvero di accertamento di gravi carenze che possono pregiudicare la sicurezza degli assistiti o degli operatori, il Comune sospende, anche parzialmente, l’attività, indicando gli adempimenti da effettuare. 4. L’autorizzazione decade qualora il soggetto titolare non richieda al Comune, entro trenta giorni dal termine del periodo di sospensione, la verifica circa il superamento delle carenze riscontrate. In caso di decadenza dell’autorizzazione, l’attività può essere nuovamente esercitata solo a seguito di presentazione di una nuova domanda, redatta secondo le modalità di cui all’articolo 4. 5. Il Comune provvede alla verifica entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta».

(11) Si veda a tal proposito, sempre nel sito del Gruppo Solidarietà, la nota del CAT Marche inviata ai NAS nel novembre del 2008, avente per oggetto Requisiti delle strutture sanitarie e socio sanitarie. Il CAT scrive ai NAS.

Suggeriamo anche la consultazione, sempre nel sito del Gruppo Solidarietà, dell’originario approfondimento, qui ripreso dal nostro giornale e di un ulteriore, successivo testo di riflessioni.

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