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Storie che devono appartenere a tutti

Realizzazione grafica dedicata al libro "La mia storia ti appartiene"

Il logo dell’iniziativa che porterà alla pubblicazione del libro “La mia storia ti appartiene”

«Sempre più mi rendo conto di quanto sia importante far conoscere la disabilità a chi non la vive perché spesso umiliazioni e non riconoscimento dei diritti derivano dalla presunzione di appartenere ad un diverso genere umano immune da malattia, fragilità, disagio, che si considera privilegiato e tratta lo svantaggio della disabilità con indifferenza, sottolineando la distanza tra “noi e loro”»: scrive così Silvia Cutrera presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente), organizzazione che, insieme alla FISH Lazio (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e all’ECAD (Ebraismo Culture Arti Drammatiche), aveva curato nel maggio scorso l’incontro di Roma intitolato La Vita Indipendente delle persone con disabilità: le richieste all’Europa, in occasione della Giornata Europea della Vita Indipendente.
Proprio dalla volontà di raccogliere le testimonianze proposte durante quell’incontro, era nata l’idea di pubblicare il libro intitolato La mia storia ti appartiene. I disabili raccontano, che uscirà per le Edizioni Progetto Cultura e che verrà presentato nel prossimo mese di dicembre, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità. Per aggiungervi però tante altre storie e testimonianze di persone con disabilità – come avevamo segnalato più volte nelle scorse settimane – era stato fissato il termine del 10 settembre, per proporre appunto «le esperienze e le emozioni vissute in relazione alla propria vita, la percezione della propria disabilità, le offese, gli affetti, le ingiustizie e la solidarietà».
Per l’ultimo “lancio” di questa bella iniziativa, dunque, cediamo ancora la parola a Silvia Cutrera che rinnova a tutti «l’invito alla scrittura, per far conoscere e “perturbare” quiete e impassibili esistenze, con la speranza di produrre cambiamenti evolutivi per tutti» e lo fa raccontando due recentissimi episodi «di ordinaria assurdità» da lei stessa vissuti direttamente. (S.B.)

Il primo episodio di “ordinaria assurdità” mi è accaduto alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Come spesso succede a chi ha una grave disabilità, ero accompagnata e informatami alla biglietteria sul tipo di agevolazioni previste per gli accompagnatori, ho ricevuto dal giovane impiegato una risposta che mi ha lasciata letteralmente esterrefatta: «Ha un certificato da cui risulta l’invalidità?».
Ho allargato le braccia, la mia tetraplegia, infatti, è facilmente riconoscibile, considerata la voluminosità della carrozzina elettronica su cui siedo! Ho però chiesto se non bastava ciò che vedeva e aveva di fronte. In quell’istante lo squillo del suo telefono ci ha costretto a una pausa. Terminata la conversazione telefonica, io ero pronta con il Bancomat per pagare i biglietti d’ingresso e lui a “concedere” l’ingresso gratuito, ma non certo a cancellare l’“invisibilità subìta”.
Il giorno dopo, stessa situazione, sempre a Roma, ma al Complesso del Vittoriano. Lì, in biglietteria, un’efficiente impiegata mi ha chiesto il certificato dal quale desumere la necessità di avere un accompagnatore ed elementi utili per ricondurre la persona che stava con me al legittimo ruolo di accompagnatore. Casualmente ero con mio fratello. Discuto quindi con l’ignara impiegata sul Decreto Ministeriale che prevede le riduzioni per gli accompagnatori familiari o persone autorizzate dai servizi socio-sanitari, facendole presente che non esiste una modulistica ad hoc (sic!) e che le persone con disabilità possono scegliere ogni giorno dell’anno da chi farsi accompagnare a una mostra, senza che gli accompagnatori stessi deebbano avere specifici requisiti. Nella foga della discussione le faccio anche presente che proprio lì sono obbligata ad avere un accompagnatore, in quanto il loro obsoleto servoscale è tarato per soli 150 chili anziché 230 (ormai le carrozzine elettroniche in uso pesano circa 120 chili) e vivendo a Roma da vent’anni, mi era capitato varie volte, all’uscita, di rimanere sul servoscala in fase di discesa, a causa del blocco di sicurezza delle barre che si inserisce per l’eccessivo peso.
Mi concede in modo sbrigativo la riduzione, ma, ahimè, alla fine della visita succede quanto temuto. Sono prigioniera della taccagneria più bieca! Infatti, la Società Comunicare Organizzando, che da dieci anni gestisce i servizi aggiuntivi del complesso, ha chiuso il 2011 con ricavi per 13 milioni di euro, ma nonostante quelle splendide cifre e in barba alla Carta della Qualità dei Servizi della Direzione Regionale per i Beni Culturali del Lazio, che promette trattamenti di uguaglianza e non discriminazione, si mantiene quel vecchio montascale, che ogni volta mi costringe a temere per la mia libertà e mobilità, frapponendo al tempo stesso una serie di ostacoli per pochi euro.
Ormai, comunque, ho anche imparato come uscirne e con pazienza, a un allibito custode e al mio accompagnatore, do le istruzioni apprese in passato: tenere sollevata e accompagnare manualmente la pedana nel fine corsa discesa!
Rinnovo quindi l’invito alla scrittura per far conoscere e “perturbare” quiete e impassibili esistenze con la speranza di produrre cambiamenti evolutivi utili per tutti. (Silvia Cutrera)

Sia per l’invio delle opere, che per ulteriori informazioni, si deve fare riferimento al recapito dell’AVI di Roma (agvitaindipendente@libero.it) e a quello dell’ECAD (ecad@live.it).

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