L’informazione e la battaglia per i diritti

I danni che rischiano di provocare gli organi d’informazione, la necessità assoluta di una diversa presa in carico di ogni situazione di gravità cronica e l’importanza di «fare squadra anche tra provenienze assai diverse, perché i diritti delle persone sono identici»: sono questi i passaggi fondamentali delle riflessioni con cui Franco Bomprezzi risponde a Guido Trinchieri e Rosa Mauro, che nei giorni scorsi ne avevano commentato un editoriale

Dentro un labirinto un omino ne sorregge un altro che scruta fuori dal labirinto stessoRingrazio Guido Trinchieri e Rosa Mauro per i loro delicati interventi, apparsi nei giorni scorsi su queste pagine, testi carichi di competenza e di umanità, attorno a un tema scomodo e doloroso come quello che avevo affrontato nel blog InVisibili di «Corriere della Sera.it» e poi giustamente inserito da Stefano Borgato fra le Opinioni del nostro bel portale Superando.it.
Il punto di partenza è proprio questo: io avevo scritto al di fuori delle nostre “isole protette”, nelle quali possiamo scambiarci idee e riflessioni senza il timore di essere fraintesi, anzi. Il mondo “là fuori”, quello dei media generalisti, è molto più sbrigativo e dipende, in larga misura, dalla velocità delle notizie di cronaca che durano un tempo assai ristretto, ma che – quando sono date con superficialità, sia nei contenuti che nella titolazione – producono invece danni duraturi e si trasformano in “luoghi comuni”.

Personalmente, essendo giornalista professionista dal 1984, ne ho viste di tutti i colori, ma ho avuto anche la fortuna e il privilegio di poter svolgere il mio lavoro di informazione e di commento in contesti assai importanti e di larga diffusione, come in questo caso.
La vicenda, della quale mi sono occupato con una durezza che non mi è abituale [il riferimento è al fatto accaduto in Basilicata a inizio agosto, quando un uomo ha ucciso la moglie e i due figli, uno dei quali con disabilità, togliendosi poi la vita, N.d.R.], era infatti stata trattata sia in televisione che nei media on line con una sbrigatività agghiacciante, attribuendo una sorta di inevitabilità e di comprensione al gesto del padre che ha di fatto sterminato la propria famiglia prima di togliersi la vita.
Era questo il messaggio che ho cercato di bloccare, con i mezzi a mia disposizione, ossia semplicemente le parole. E devo dire che per una misteriosa alchimia sono forse riuscito nell’intento (penso soprattutto perché un commento sul «Corriere» on line ha una visibilità obiettivamente assai elevata, tanto più che la redazione, quel giorno, decise di collocare le mie riflessioni anche al di fuori dello spazio del blog InVisibili).
Nell’arco della giornata, quella che prima sembrava una spiegazione automatica, nei resoconti dei telegiornali e nei titoli dei quotidiani on line (e poi in quelli di carta, il giorno dopo), la vicenda è stata affrontata più correttamente, nella sua complessità di interpretazione e di attribuzione di responsabilità. Questo credo sia il mio compito di giornalista.

Resta poi il mio impegno di persona “informata sui fatti” e di militante nel mondo delle persone con disabilità e delle loro famiglie. E allora non posso che concordare con le vostre sottolineature che rimandano alla necessità assoluta di una diversa presa in carico da parte non solo dei servizi, ma dell’intera società, in presenza di situazioni di gravità cronica che implicano, per i genitori, per i parenti, per i fratelli e le sorelle, un carico a tempo indeterminato, che indipendentemente dall’amore (che non è in discussione) è di fatto insopportabile, specie se avviene in un contesto di quasi totale indifferenza e mancanza di strumenti di sollievo e di supporto competente e non effimero (come i famosi TSO [Trattamenti Sanitari Obbligatori, N.d.R.]).
I tempi che stiamo vivendo non sembrano aiutarci nella lunghissima battaglia iniziata insieme tanti anni fa (ricordo benissimo le prime assemblee della FISH [Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.] con le intemerate di Cecilia Cattaneo…). La FISH credo che rappresenti da questo punto di vista una realtà splendida e unica nel suo genere, riuscendo a fare squadra tra provenienze assai diverse, nella convinzione che i diritti delle persone sono identici anche se si declinano in modalità differenti.
Continuate perciò ad argomentare e a diffondere buona cultura e vera consapevolezza della realtà. Ne abbiamo tutti bisogno.

I nostri Lettori lo sanno bene: càpita spesso che «Superando.it» riprenda testi apparsi altrove, facendoli sempre seguire da una nota in cui si parla tra l’altro di «riadattamenti» (o «modifiche») dovuti al «diverso contesto» (o «contenitore»). Quell’avvertenza non corrisponde a una semplice formula rituale, ma sottintende una questione ben più sostanziale, che è appunto quella legata all’importanza del diverso contesto all’interno del quale viene pubblicato un articolo, con valutazioni e verifiche redazionali precedenti alla stessa fase di pubblicazione. E ciò vale tanto più quando i testi vengono ripresi dagli organi d’informazione cosiddetti “generalisti”, come può essere un grande quotidiano nazionale, rivolto a un pubblico che differisce non poco dal nostro.
Riteniamo doverosa questa precisazione, per riuscire sempre ad arrivare ai Lettori nel modo più chiaro e “onesto” possibile, facendo nostre le parole pronunciate qualche tempo fa da Franco Bomprezzi, secondo il quale «l’importanza del contesto di comunicazione è un tema sempre più centrale, oggi ancor più forte con l’irrompere dei social network, che rilanciano acriticamente link a testi tratti da contesti assai differenti». (S.B.)

Direttore responsabile di «Superando.it».

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