Alleanze sociali sì, ma rispettando i diritti di tutti

«Solo nel quadro di uno sviluppo fatto di crescita economica, sociale e culturale e di partecipazione democratica dei cittadini alle scelte collettive – scrivono Giuseppe e Lorenza Biasco -, saranno possibili l’inclusione e le pari opportunità delle persone con disabilità, mentre nella crescita economica fine a se stessa è escluso tutto quello che non è di interesse immediato dell’Economia Finanziaria»

Uomo con disabilità al lavoro

È sempre altissima la percentuale di disoccupazione, per le persone con disabilità

In merito all’articolo di Franco Bomprezzi, pubblicato in «Superando.it», dal titolo Articolo 18 e Legge 68: costruire nuove alleanze sociali, non abbiamo potuto fare a meno di scrivere una riflessione in proposito.
Nel Job Acts, la riforma del lavoro proposta dal Governo, non c’è nulla che riguardi i disabili, ma c’è solo la necessità di portare a compimento una liberalizzazione delle entrate e delle uscite nel mercato del lavoro, iniziata una ventina di anni fa.
La Legge 68/99 [“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, N.d.R.], erede degli antichi collocamenti obbligatori, fu resa necessaria dal fatto che erano stati introdotti nel mercato del lavoro contratti atipici che non avrebbero più garantito la possibilità del lavoro alle persone con disabilità.
In questi giorni di polemica senza memoria, in cui le responsabilità sono sempre di tutti e mai veramente assegnate, va ricordato che nel 2002 partì una campagna di liberalizzazione del mercato del lavoro, con un forte attacco all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, portata avanti dall’allora ministro Roberto Maroni, che fece registrare un’accanita resistenza da parte del Sindacato – con una grande manifestazione a Roma promossa dalla CGIL – che salvò quello stesso articolo.
La “Legge Biagi”, comunque approvata in quel periodo, portò poi a una forte deregulation nel mercato del lavoro, creando non pochi problemi per l’applicazione della stessa Legge 68/99.

Va a questo punto ricordato che qualsiasi intervento fatto nell’àmbito del mercato del lavoro non ha portato un solo posto di lavoro in più. L’aumento della disoccupazione, infatti, dipende da ben altre cause, tra cui la finanziarizzazione dell’economia e lo sfruttamento intensivo della manodopera nei Paesi senza diritti, nei quali si sono trasferite le nostre più importanti produzioni.
I sindacati italiani hanno molte responsabilità, e la prima è quella di essere inutilmente divisi, anche sulle politiche della disabilità, ma non può essere loro imputata l’ingiustizia sociale costruita nel nostro Paese con un’incredibile pervicacia.

In Italia si è prodotta una rottura sociale, dove “tutti sono contro tutti”. Noi disabili lo sappiamo bene perché da sei anni a questa parte subiamo una vera e propria “campagna di infamia”, che ci ha costretti a umilianti revisioni delle nostre condizioni di invalidità.
Personalmente riteniamo che se ci fosse stata nel nostro Paese la capacità di ricostruire un’idea collettiva della nostra società, indicando obiettivi comuni e costruendo insieme una strategia per raggiungerli, come in tante occasioni della nostra storia, tutti noi cittadini italiani avremmo saputo fare sacrifici per fare sviluppare il Paese e costruire un futuro diverso per i nostri figli.
Fare le riforme contro una parte della società significa non farle e le riforme si definiscono tali se sono in grado di allargare la platea di coloro che hanno diritto e non di restringerlo.
Ci chiediamo: cosa accadrebbe a un lavoratore infartuato senza garanzia della giusta causa, qualora la quota in azienda destinata ai disabili fosse satura?
Qui non si tratta di difendere princìpi astratti, si tratta di far passare un principio di fondo: la crescita economica di per sé non significa sviluppo. Lo sviluppo è cosa ben più complessa, fatta di crescita economica, sociale e culturale, di partecipazione democratica dei cittadini alle scelte collettive. Ed è in questa logica di sviluppo che sono possibili l’inclusione e le pari opportunità dei disabili, mentre nella crescita economica fine a se stessa è escluso tutto quello che non è di interesse immediato dell’Economia Finanziaria.

Il mondo della disabilità può essere il punto di riferimento e di partenza per una nuova alleanza sociale, che difendendo il diritto di tutti, aiuti il nostro Paese a ritrovare un’idea collettiva di sviluppo per uscire da questa crisi, diversi e migliori.

Giuseppe Biasco, persona non vedente, è ricercatore storico e pubblicista; Lorenza Biasco fa parte della Sezione Afragola Nola della FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi).

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