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Una scuola inclusiva fra India e Bangladesh

Felice Tagliaferri e alcuni giovani allievi della Bethany School in India

Lo scultore non vedente Felice Tagliaferri, insieme ad alcuni giovani allievi con disabilità della Bethany School di Shillong in India

C’è una scuola dove ci sono materie diverse. «Non insegnamo l’alfabeto, insegnamo le abilità». È lontano, dall’altra parte del mondo. Ci è stata Takisha, 10 anni, che non vede da quando ne aveva 5 e ha la voce da usignolo. E Lumiang, 20 anni, nato sordo e cieco, con problemi di relazione.
La Bethany School di Shillong, India remota non lontano dal Bangladesh, ha dato forma ai loro sogni. Anche in senso letterale. E lo ha fatto con l’aiuto di Felice Tagliaferri, straordinario scultore non vedente [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.], che lì ha portato e insegnato la sua arte, facendo capire che «si può fare!».
Lo ha fatto grazie alla ONLUS CBM Italia – ove CBM sta per Christian Blind Mission -, la più grande organizzazione non governativa che combatte le disabilità visive nel mondo.

In quei giorni in India con Tagliaferri c’erano anche il noto regista Silvio Soldini e il documentarista Giorgio Garini. È nato così Un albero indiano, bellissimo documentario dove la voce narrante è quella dello stesso Tagliaferri, ma i protagonisti sono i quindici bambini e gli insegnanti che alla Bethany School hanno imparato da lui l’arte della lavorazione della creta.
Soldini e Garini continuano dunque il percorso con CMB nel racconto delle storie di persone cieche, iniziato con il docufilm Per altri occhi [se ne legga ampiamente nel nostro giornale, N.d.R.]. Lì si intrecciavano le vite di chi non vede, con immagini lontane dallo stereotipo di chi non ha la vista e Tagliaferri era uno dei protagonisti. Questa volta con loro è volato lontano, povertà che non ha fine, dignità immensa: «Io non parlo la loro lingua, loro non parlano la mia, ma comunichiamo con il cuore e ci capiamo benissimo».

Dalla Bethany School sono passati quattrocento bambini. È nata grazie a Bertha Gyndykes Dkha, divenuta cieca per una retinite pigmentosa. Spiega Rosa, la direttrice: «Il focus non è sulle loro difficoltà, ma sulle loro abilità». Una scuola inclusiva, fra India e Bangladesh.
Tra i banchi della Bethany School si compie il miracolo. È vero che Tagliaferri non conosce nulla della lingua, ma la modalità di comunicazione che trova con i bambini ciechi, sordi o sordociechi è quella dell’arte. Alla fine sarà un albero, bellissimo, che nasce da mille mani diverse, che alcuni non potranno vedere, ma sentono, toccano, fanno loro. Ogni giorno si lavora insieme per un obiettivo. «Per imparare a fare il passo più lungo della gamba»: Felice rovescia dunque i luoghi comuni attraverso le sue mani che plasmano e toccano e non si fermano mai.
«Digli che può lisciare meglio: gli occhi non gli funzionano, ma il tatto sì», fa spiegare a uno degli allievi. In quindici giorni, ragazzi e ragazze, chi “normodotato”, chi cieco o sordo, chi con difficoltà relazionali o intellettive, imparano a lavorare la creta, ognuno a suo modo. Non ci sono distinzioni per Felice: «Non esistono i disabili e gli abili, tutti hanno le loro disabilità, tutti possono trovare le loro abilità».

Da quei giorni in India, grazie al sostegno di CMB Italia, alla Bethany School si è avviato un laboratorio permanente di lavorazione della creta aperto a tutti, bimbi normodotati o con cecità e sordità, senza differenze.
Il documentario di Soldini e Garini racchiude i valori di CBM, dall’inclusione alla valorizzazione delle abilità, ma sa raccontarli dentro la storia con «letizia e allegria di fondo», per usare parole dello stesso Soldini. Letizia… Bella parola. Ma si può usare anche in situazioni che appaiono difficili? Un albero indiano ci dice di sì ed è bello che un’organizzazione come CBM, che opera in settanta Paesi con settecento progetti in situazioni difficili e spesso drammatiche, abbia attenzione nel comunicare così.
CBM fa molto con poco. Per superare la cataratta basta un intervento di mezz’ora, per vincere il tracoma – chiamato “malattia dell’acqua” perché da quella si prende – basta una goccia di medicina, ma dev’essere usata velocemente. In tal senso, fino al 1° novembre sarà anche possibile sostenere la campagna denominata Apriamo gli occhi (numero solidale 45594), per sostenere i progetti in quattordici Paesi in Via di Sviluppo, con operazioni oculistiche per bambini delle famiglie più povere, allestendo cliniche oculistiche mobili, svolgendo attività di screening, distribuendo occhiali.

In conclusione Un albero indiano ci spiega che un altro mondo è possibile. Felice Tagliaferri ci insegna come si ribalta il pensiero, Silvio Soldini e Giorgio Garini ci mostrano quanto tutto questo sia bello. Con letizia e allegria.

Testo già apparso – con il titolo “Un Albero Indiano. Se uno scultore cieco insegna l’arte in India” – in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

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