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Non si può fermare la corsa al futuro di Markus Rehm

Markus Rehm

Nel luglio scorso Markus Rehm ha ottenuto la ragguardevole misura di 8,24 nel salto in lungo

Markus è già dentro il futuro. A 26 anni ha stupito chi ancora è rimasto fermo alla visione dello sport col corpo perfetto. Salta in lungo, ha la gamba sinistra amputata sotto il ginocchio, usa le protesi in fibra di carbonio con le quali non si cammina: si corre e si salta.
Il 26 luglio scorso ha vinto il titolo tedesco assoluto (mica solo paralimpico), andando a 8,24 metri dalla linea di battuta. Come la stragrande maggioranza degli atleti amputati, stacca con l’arto protesico. Era qualificato per i Campionati Europei di Zurigo, ma la Federazione di Atletica tedesca non lo ha convocato: vuole nuovi studi su quell’arto. Anche con questa nuova icona dello sport paralimpico, sembra quindi di rivivere la vicenda di Oscar Pistorius, bloccato prima delle Olimpiadi di Pechino 2008, poi ammesso a Londra 2012.

Era una domenica dell’estate 2003, il 10 agosto, e Markus Rehm, che aveva 14 anni, stava divertendosi su un fiume vicino Kitzingen, nella sua Germania, con la tavola da wakeboard (semplificando: lo snowboard dello sci d’acqua). Perché poi era proprio bravo. Ha perso la corda. La caduta in acqua, una barca che passa vicino, l’elica che maciulla la gamba. «Dopo tre giorni me l’hanno amputata sotto il ginocchio». Un anno dopo ricomincia con il wakeboard. Ma solo nel 2008 inizia a fare atletica.
È un vero fenomeno: nel 2012, alla Paralimpiade di Londra, oro e record del mondo con 7,35; nel 2013, ai Mondiali Paralimpici di Lione, oro e record del mondo con 7,95; del 2014 si è scritto all’inizio.
Dicono: troppi miglioramenti, troppo veloci e troppo ampi. Lo sport paralimpico è così giovane che questo accade in ogni disciplina. Dicono: quella protesi, con la quale si stacca, avvantaggia. Già sentito: per almeno uno, che correva, sappiamo come è finita.
Rehm, che voleva andare ai Mondiali, si cruccia un po’, ma è il primo a non avere problemi su controlli accurati. Dichiara a Paolo Tomaselli in «Style», magazine del «Corriere della Sera»: «Corro e salto così grazie alla mia tecnica. Sono il primo a volere un approfondimento, per mostrare che non traggo vantaggio dalle mie protesi. Per molti la protesi è un vantaggio a prescindere. Però, se fosse così facile saltare otto metri, con la protesi ci riuscirebbero in tanti, non le pare?». E invece ci riesce solo lui.

A Londra 2012 girava con la fidanzata Vanessa Low, sprinter amputata a entrambe le gambe sopra il ginocchio: bellissimi, superfotografati, coppia copertina di riviste patinate. Grazie a grandissimi atleti come Markus Rehm, lo sport esce dalle secche della monotonia dell’esaltazione del corpo e ci fa riflettere sul futuro: le gare paralimpiche saranno più belle di quelle olimpiche? Non è una domanda retorica.
Torniamo indietro, perché non erano molti anni fa e c’era chi, sul «Corriere della Sera», lo dava per certo. Era l’aprile del 2005. Oscar Pistorius aveva appena detto: «Vorrei andare alle Olimpiadi». Ne scrissi io stesso sul «Corriere», intervistando anche due grandi tecnici delle protesi, ancora oggi colonne al Centro Protesi INAIL di Vigorso di Budrio (Bologna). Questo un brano di quell’articolo: «Non alla prossima edizione delle Olimpiadi, a Pechino; probabilmente nel 2012; sicuramente nel 2016. Mancano pochi anni, ma gli atleti amputati, in particolare quelli amputati a entrambe le gambe, supereranno i normodotati. Gli esperti e gli atleti disabili (come Pistorius e l’italiano La Barbera) ne sono convinti. “Sarà solo questione di tempo e di metodo: lo sviluppo delle protesi e il lavoro sugli atleti farà sì che fra pochi anni, le gare di corsa delle Paralimpiadi saranno più veloci di quelle delle Olimpiadi”, dice Gennaro Verni, ingegnere meccanico, ex direttore tecnico delle protesi di arto inferiore al Centro INAIL di Budrio, all’ avanguardia nel mondo, quello scelto da Alex Zanardi, oltre 4.000 protesi all’ anno. E Antonio Ammaccapane, capo tecnico ortopedico protesi sotto il ginocchio, si spinge oltre: “Sono convinto che fra 7/8 anni un atleta amputato, a parità di condizione, eguaglierà e probabilmente supererà gli atleti normodotati. E non solo nella corsa. Nel salto in lungo, si sfrutterà la spinta di un piede protesico, che sarà certamente superiore a quella del piede fisiologico”».

Rehm ha superato il paradosso. E non solo nello sport: «Non avrei mai voluto che accadesse, ma l’incidente mi ha reso la persona che sono oggi. E in un certo senso devo essergli grato». Parole che poi rieccheggiano in Luca Pancalli, Alex Zanardi, Beatrice Vio.
Non se ne esce, è così e si va solo avanti. Spiace solo che, ancora, ci sia chi si ostina a stare seduto e a voler fermare la corsa al futuro.

Testo già apparso – con il titolo “Markus Rehm, che salta nel futuro” – in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

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