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A proposito di Malattie Rare e di “eroi”

Madre tiene in braccia figlio con una Malattia Rara

Una madre tiene in braccio il figlio, affetto da una Malattia Rara. «Se nelle Malattie Rare ci sono eroi – scrive Gabriella Fogli – sono i papà e le mamme che accudiscono con amore e sacrifici continui il loro bambino, o coniugi che si dedicano anima e corpo al loro congiunto»

Scrivo mentre alla televisione parlano della raccolta di fondi in corso per la ricerca sulle Malattie Rare [la maratona di raccolta fondi Telethon 2015, N.d.R.]. Uno dei presentatori annuncia un servizio e definisce la persona Malata Rara interprete dello stesso come “un eroe”.
Sono una Malata Rara, anzi ho diverse Patologie Rare, insieme ad altre indotte dai farmaci per alleviare i sintomi delle prime, e potete definirmi come volete, ma mai come un’eroina! Gli eroi sono altro, gli eroi scelgono di correre un rischio a costo della loro vita per salvarne altre, ma nessuno di noi ha scelto di essere malato, nessuno lo sceglie. Te lo trovi addosso all’improvviso, se non addirittura alla nascita, e vivere con una Malattia Rara è un percorso di sofferenza, di dolore, di silenzio.
Si. Silenzio. Perché quando dico che ho la tiroidite di Hashimoto, la sindrome di Sjögren e la fibromialgia, oltre a tutto il resto, mi guardano e non sanno cosa sto dicendo, si trovano in difficoltà e tagliano corto cambiando discorso. E quindi, non potendo fargliene una colpa, dico che ho un’insufficienza respiratoria e il diabete… almeno ne hanno sentito parlare! Infatti partono con “la zia col diabete” a cui hanno amputato il piede e tu che fai gli scongiuri davanti a queste prove di comprensione umana…

Battute a parte, di Malattie Rare si parla ancora troppo poco, la disinformazione è tanta, e non sto parlando delle singole patologie che nemmeno tanti medici conoscono, ma occorre che la gente sappia che c’è pochissima ricerca perché le aziende farmaceutiche non investono né fondi né anni di lavoro per medicine che serviranno a pochi malati e che non porteranno a un riscontro economico. Lo Stato… beh, sappiamo tutti i problemi della nostra Sanità, del fatto che i ricercatori migliori vanno all’estero perché hanno laboratori attrezzati e stipendi migliori.
Qui desidero però condividere con i Lettori quello che è accaduto proprio a me. Ricoverata all’Ospedale Universitario di Ferrara, nel reparto di Reumatologia, mi fanno una serie di test sul dolore, dopodiché mi informano che intendono farmi delle analisi “di fino” perché loro hanno determinate attrezzature. Faccio questi test in una sezione di Neurologia, test che culminano in una biopsia della gamba.
Mi informano che sta partendo una ricerca specifica sul mio tipo di neuropatia, legata alla sindrome di Sjögren, e mi chiedono se voglio far parte del gruppo sperimentale che proverà alcuni farmaci. Dico di sì e mi fanno firmare dei fogli per l’assenso informato. La biopsia conferma ciò che sospettavano e io inizio ad aspettare che parta questa ricerca, contenta e piena di speranza. Forse c’era un raggio di sole, non può sempre essere tutto grigio.
Mi dimettono dall’ospedale, e alla mia domanda di quando inizi la sperimentazione, mi rispondono che è solo una faccenda di fondi da sbloccare e che poi si faranno vivi loro.
Passano però i mesi e ogni trenta giorni telefono per avere notizie, ma le risposte sono sempre le stesse: stanno aspettando che «vengano sbloccati i fondi» oppure «la ricercatrice non è in ospedale», perché, a quanto sembra, solo una persona sta portando avanti uno studio presentatomi come “all’avanguardia nel settore” e che l’Università di Ferrara avrebbe presentato per prima alla Comunità Europea…
Dopo circa un anno riesco finalmente a parlare con la ricercatrice la quale, seccatissima, mi risponde che ero stata esclusa perché assumevo già troppi farmaci. Inoltre, lei si era stabilita in Germania ed era a Ferrara solo di passaggio…
Le mie speranze si sono infrante. Mi domando e chiedo: quando mi avevano fatto firmare per l’assenso informato, ero ricoverata, avevano la cartella clinica con tutti i farmaci che assumevo, eppure mi hanno fatto ugualmente la richiesta. Inoltre, il tono seccato e stizzito di quella ricercatrice mi ha mortificato. In fondo, ero solo una persona che loro avevano contattato, coinvolto e disilluso. Conclusione… non mi fido più delle ricerche!

Tornando al tema iniziale, quello dell’essere “eroici”, io credo solo che siamo persone come tutti, e già considerarci questo sarebbe un grande passo avanti. La disabilità, la malattia non rendono migliori, anzi, a volte è talmente difficile accettare certe situazioni che si assumono degli atteggiamenti più crudi. Secondo me la malattia, la disabilità sono una grande prova e prevedono un adattamento alla realtà che, nel caso di patologie degenerative, è praticamente continuo, include tutta la famiglia, e non è detto che tutti siano pronti ad accettarlo. Il dolore tira fuori il meglio o il peggio, non fa sconti. O lo accetti e ti adegui oppure lo rinneghi e ti incattivisci.
Se ci sono “eroi” in queste storie, sono i papà e le mamme che accudiscono con amore e sacrifici continui il loro bambino, o i coniugi che si dedicano anima a corpo al proprio congiunto. Questi sono “eroi della storia”, quelli che portano un grande peso per scelta, perché tanti scappano, non tutti sono capaci di vivere a contatto con il male.
Noi ci siamo ritrovati nella malattia, non l’abbiamo scelta, non abbiamo voluto diventare o nascere disabili. Ma chi ti ama e sceglie di restare al tuo fianco è un angelo che ha nascosto le ali.

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