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Valutare i risultati delle classi e non solo delle scuole

Classe di scuola superioreQuello della valutazione nella scuola è un problema aperto da sempre sotto tre profili: la valutazione dei docenti, quella dei dirigenti scolastici e quella del sistema d’istruzione.
Sorvoliamo, in questa sede, sulla valutazione dei dirigenti scolastici, poiché – a detta degli stessi pedagogisti – si tratta di un aspetto fondamentale che richiede una disamina previa sulla formazione degli stessi, nella quale, per dirne una, l’àmbito della normativa e dell’organizzazione dell’inclusione scolastica è incredibilmente opzionale, a fronte di un Paese come il nostro, l’unico al mondo in cui l’inclusione è obbligatoria e generalizzata.

Restando quindi al tema della valutazione del merito dei docenti da parte del “datore di lavoro” – Ministero, Ufficio Scolastico Regionale o nucleo di valutazione della scuola che sia – esso è sempre stato presente nel dibattito sulla scuola. Si accese in particolare alla fine degli Anni Novanta, quando l’allora ministro Luigi Berlinguer tentò di introdurre il cosiddetto “Concorsone”, per dare una soluzione al problema, ma tutto fu travolto a seguito della dura reazione dei Sindacati, cosicché l’argomento si inabissò, per riapparire recentemente con il documento della Buona Scuola, riforma complessiva del sistema scolastico proposta dal Governo Renzi.
Quest’ultimo, anzi, propone come soluzione la valutazione da parte di un soggetto terzo che dovrebbe annualmente scegliere circa i due terzi dei docenti da premiare con un significativo aumento di stipendio, costringendo il residuo terzo a competere nell’anno successivo, per crescere nella valutazione e quindi meritarsi a propria volta l’aumento stipendiale.
Dietro pressione delle forze sindacali, questa soluzione esclusivamente meritocratica è stata temperata, mantenendo in parte il criterio della progressione automatica nella carriera, legata quindi, nello stipendio, all’anzianità di servizio.

Per quanto concerne invece la valutazione del sistema d’istruzione, essa è affidata all’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione), che ha dapprima operato con le valutazioni dei livelli apprenditivi degli alunni nel quadro dei raffronti tra diversi Paesi dell’OCSE [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, N.d.R.] e ora, secondo quanto stabilito dalla Direttiva Ministeriale 11/14 del 18 settembre 2014, in attuazione del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 80/13 (Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione), ha proposto il cosiddetto RAV, ovvero il Rapporto sull’Autovalutazione delle Scuole, ufficialmente presentato a Roma nel dicembre scorso.
Il documento relativo utilizza alcuni aspetti del Regolamento sulla valutazione dei docenti emanato tramite il citato DPR 80/13 e rende noti alcuni indicatori di sistema che un gruppo di esperti propone a tutte le scuole italiane perché si autovalutino. A questa prima fase (scuole) dovrebbe seguire quella della valutazione degli utenti, delle famiglie e quella finale di un soggetto terzo.
Ebbene, tra gli indicatori ne sono stati introdotti anche alcuni concernenti l’inclusione degli alunni con disabilità e altri BES (Bisogni Educativi Speciali), ma in tal senso il RAV soffre di due peccati di origine, che a mio avviso non consentiranno una seria autovalutazione dell’inclusione scolastica. In primo luogo, infatti, gli indicatori su cui dovrebbero rispondere le scuole sono troppo generici e formulati in modo da rendere impossibile il controllo sulla veridicità delle risposte. In secondo luogo, la valutazione riguarda le singole scuole nel loro complesso e non le classi e quindi le classi stesse in cui l’inclusione verrà svolta male si “mimetizzeranno” nella media di tutta la scuola e quindi non si avrà una vera valutazione delle singole scuole, ma neppure del sistema d’istruzione realizzato dal gruppo di docenti delle singole classi.

Questi tentativi che il Ministero sta conducendo sono per altro dettati da una giusta esigenza di verificare quanto il lavoro didattico dei docenti sia produttivo nei confronti degli alunni. Ciò che dunque mi sembra errato – in questa prima fase e in quella finale – è il mezzo, vale a dire adesso la valutazione della scuola nel suo complesso e poi la valutazione dei singoli docenti.
Degli effetti fuorvianti della valutazione delle singole scuole nel loro complesso si è già detto; quanto alla valutazione del merito dei singoli docenti, l’errore emergerà in sede applicativa in modo a mio parere devastante, quando cioè si scatenerà una vera e propria “lotta senza quartiere” tra i singoli docenti, per accaparrarsi il punteggio utile ad entrare nel numero dei due terzi che avranno aumenti di stipendio. In altre parole, si scatenerà un individualismo sfrenato, ovvero l’esatto contrario del lavoro cooperativo interdisciplinare che tutta la pedagogia invita a realizzare in ogni gruppo di docenti di una classe. Non si raggiungerà in tal modo il fine di migliorare il rendimento collettivo degli alunni della classe, ma solo il rendimento degli alunni nella propria disciplina, anche a danno del rendimento in altre discipline.
Meglio sarebbe stato, in questa prima fase sull’autovalutazione di sistema, puntare sull’autovalutazione dei risultati delle singole classi, ivi compresi quelli ottenuti dagli alunni con disabilità ed altri BES. Ciò avrebbe spinto infatti tutti i docenti della classe – sin da questa prima fase – a fare corpo comune, con l’obiettivo di far raggiungere i migliori risultati complessivi a tutti gli alunni, il che, lungi da determinare una concorrenza individualistica tra i docenti, avrebbe stimolato la coscienza di gruppo e una sana concorrenza tra i gruppi di docenti delle singole classi.
Riguardo poi ai docenti meno impegnati, essi sarebbero stati stimolati dai colleghi a impegnarsi, per non fare sfigurare il gruppo nel suo complesso. E anche gli alunni con disabilità e altri BES sarebbero stati oggetto della massima attenzione, poiché il loro successo avrebbe innalzato la media della valutazione di tutta la classe. Con una valutazione centrata sulla singola scuola, invece, torno a ribadire che i risultati negativi si mimetizzeranno, mentre, rispetto alla valutazione dei singoli docenti – concernente la seconda fase del percorso – quelli curricolari, specie delle scuole superiori secondarie, saranno portati ad accentuare ulteriormente l’attuale deriva di delega al solo insegnante per il sostegno.
Come si vede, dunque, i vantaggi realizzabili in questa prima fase tramite l’autovalutazione dei risultati delle singole classi, potrebbero giovare anche per la realizzazione della seconda fase riguardante la valutazione dei singoli docenti.

A questo punto ritengo che si sia ancora in tempo per correggere il tiro e far sì che l’autovalutazione per l’anno in corso possa riguardare i risultati delle singole classi, i quali potrebbero pure sommarsi a quelli delle singole scuole, evidenziando però le sedi essenziali dove si svolge la didattica, cioè i gruppi-classe. Basterebbe un’integrazione alla Direttiva sull’autovalutazione che richiedesse espressamente l’autovalutazione delle singole classi, prima di farle confluire in quelle del calderone comune di tutta la scuola.
Sarebbe vieppiù opportuno rendere meno generici alcuni indicatori, almeno quelli relativi agli alunni con disabilità; per questo gioverebbe attingere alla ricerca sugli indicatori di qualità dell’inclusione scolastica realizzata nell’anno scolastico 2005-2006 dall’INVALSI [se ne legga ampiamente anche in questo giornale, N.d.R.], cui però ne il Ministero né l’INVALSI stessa hanno dato il giusto rilievo.
Cosa pensano di tutto ciò i docenti, i sindacati, le famiglie e gli esperti dentro e fuori il Ministero?

Presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), della quale è stato vicepresidente nazionale.

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