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Un gene implicato nei trattamenti della sclerosi multipla

Immagine esposta nel 2013 nell'àmbito della mostra sulla sclerosi multipla "Under Pressure"

Una delle immagini esposte nell’àmbito della mostra “Under Pressure: living with MS in Europe” (“Sotto pressione: vivere con la sclerosi multipla in Europa”), portata in Italia nel 2013 dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla)

Uno studio dei ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, in collaborazione con il Brigham and Women’s Hospital di Boston (Stati Uniti), ha individuato una particolare variante genetica associata alla risposta all’interferone beta, uno dei farmaci usati nel trattamento della sclerosi multipla, la grave malattia del sistema nervoso centrale, cronica, imprevedibile e spesso progressivamente invalidante, che colpisce le donne due volte più degli uomini e della quale non si conoscono né le cause né una cura risolutiva.
La ricerca, pubblicata dalla rivista scientifica «Annals of Neurology», è stata coordinata da Filippo Martinelli Boneschi e Federica Esposito, entrambi del Laboratorio di Genetica delle Malattie Neurologiche Complesse dell’Istituto di Neurologia Sperimentale (INSPE) dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, e da Philip De Jager e Wassim Elyaman del Brigham and Women’s Hospital.

In sostanza, i ricercatori hanno preso in esame circa mille pazienti italiani, francesi e americani, osservando che l’interferone beta induceva una minore risposta terapeutica in quelli dotati di una determinata variante del gene SLC9A9, coinvolto nella regolazione del pH cellulare.
Dopo la variante genetica, gli studiosi hanno preso in esame il gene stesso, scoprendo che esso può interferire nell’attivazione delle cellule immunitarie, che svolgono un ruolo importante nella comparsa di malattie infiammatorie com’è appunto la sclerosi multipla. In particolare, l’inattivazione di questo gene porta le cellule immunitarie a sviluppare con più facilità reazioni avverse.
«Ulteriori studi in altri gruppi di pazienti – dichiara Martinelli Boneschi – saranno necessari per confermare i risultati ottenuti, e in particolare nei pazienti trattati con altri farmaci specifici per la sclerosi multipla, per valutare se l’effetto della variante genetica sia limitato all’interferone beta o sia rilevante anche per altri trattamenti specifici. In ogni caso, lo studio che abbiamo condotto è un ottimo esempio di ricerca traslazionale, che unisce cioè le competenze dei ricercatori e l’esperienza clinica dei neurologi, obiettivo principale degli scienziati dell’IRCCS Ospedale San Raffaele».
«Questa scoperta – aggiunge dal canto suo Federica Esposito – è interessante perché suggerisce come un nuovo meccanismo, la regolazione del pH cellulare, possa essere importante nell’attivazione delle cellule immunitarie nella sclerosi multipla, e il gene coinvolto potrebbe rappresentare un nuovo target per lo sviluppo di farmaci». «Va per altro precisato – conclude – che questo risultato non è ancora pronto per essere utilizzato in àmbito clinico, ma pone le basi per possibili applicazioni future, nel quadro della cosiddetta medicina personalizzata, volta cioè ad adattare i trattamenti ai singoli pazienti al fine di massimizzare l’effetto terapeutico».

Lo studio, va ricordato in conclusione, è stato reso possibile grazie al Consorzio Multicentrico Genetico Italiano PROGRESSO, al Ministero della Salute Italiano (Progetto Giovani Ricercatori 2007), alla FISM, la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla che agisce a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e ad alcune altre Associazioni francesi, oltreché alla collaborazione dell’International Multiple Sclerosis Genetics Consortium e del Wellcome Trust Case Control Consortium 2. (B.E. e S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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