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Assistenti sessuali, arretramenti culturali e stigma sociale

Oriella Orazi, "Abbraccio"

Oriella Orazi, “Abbraccio”

Ciò che stupisce del Disegno di Legge n. 1442 (Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità) è il fatto che, pur partendo da considerazioni condivisibili circa la condizione di mancato sviluppo delle opportunità di realizzazione della dimensione sessuale nelle persone con disabilità, l’istituzione delle figura dell’“assistente sessuale” venga profilata come una panacea e come l’unica soluzione possibile per il superamento degli ostacoli per la soddisfazione dei bisogni sessuali.
A parere di chi scrive, l’istituzione della figura dell’assistente sessuale dovrebbe essere invece considerata come un’estrema ratio riservata a pochi casi, rispetto ai quali le menomazioni sono talmente gravi da non poter essere compensate da altri interventi tesi a favorire lo sviluppo di relazioni intime spontanee e che prescindano da prestazioni sessuali professionali.

In realtà, prima di dichiarare «L’impossibilità, con questi presupposti, di raggiungere una condizione di benessere psicofisico, emotivo e sessuale», come recita un passo dell’introduzione al Disegno di Legge, sono tantissimi gli interventi che possono essere implementati e/o ampliati per favorire il diritto ad avere una vita soddisfacente anche da un punto di vista sessuale:
– incrementare il livello di inclusione sociale attraverso l’abbattimento delle barriere architettoniche e il potenziamento di servizi di trasporto e assistenza quantitativamente e qualitativamente idonei;
– implementare percorsi di educazione sessuale nelle scuole, con il gruppo classe, per tutti gli alunni con disabilità che hanno uno sviluppo cognitivo non inficiato dalla disabilità stessa, oppure personalizzati per tutti quegli alunni che hanno difficoltà a livello cognitivo;
– dare vita a campagne di sensibilizzazione e informazione circa le relazioni intime di persone con disabilità (sia motoria/sensoriale, sia cognitiva), che nella società sono ampiamente sviluppate e documentate e che smentiscono gli stereotipi del “disabile asessuato e indesiderabile”;
– coinvolgere le persone con disabilità in training di crescita personale sotto il profilo della gestione delle emozioni, dell’assertività e delle capacità relazionali;
– stimolare le persone con disabilità (e i caregiver) a prestare attenzione alla cura del corpo e di tutti quei piccoli accorgimenti che possono rendere piacevole l’aspetto della persona con disabilità: avere un corpo con una menomazione o con struttura diversa da quelli che sono i canoni dominanti della bellezza, non significa infatti essere completamente impossibilitati a valorizzare il proprio look.

Trovo dunque che sarebbe stata molto più ragionevole e opportuna la presentazione di un Disegno di Legge finalizzato a favorire la realizzazione della dimensione sessuale nelle persone con disabilità attraverso diverse strategie, di cui, eventualmente, l’istituzione della figura dell’assistente sessuale sarebbe potuta diventare una delle possibili misure, con i dovuti distinguo e le limitazioni del caso.

Antonio Canova, "Amore e Psiche", particolare

Particolare del bacio nel celebre gruppo scultoreo “Amore e Psiche” di Antonio Canova

A questo proposito, sempre nel Disegno di Legge n. 1442, al comma 4, lettera e) dell’unico articolo, ci si limita a rimandare alle Regioni il compito di «definire il tipo e la gravità della disabilità dell’utente che rende funzionale l’intervento professionale dell’assistente per l’esercizio della sessualità», ma ciò solleva una molteplicità di questioni che vanno attentamente prese in considerazione:
1. Delegando alle Regioni la definizione del tipo e della gravità della disabilità che consentirebbe di accedere al servizio di assistenza sessuale, si produrrebbe la solita disparità di trattamento da Regione a Regione. Le Regioni stesse, poi, potrebbero decidere di stabilire criteri più o meno selettivi per motivi di opportunità politica o in funzione inversamente proporzionale al livello di integrazione socio-culturale che le persone con disabilità vivono nella propria Regione.
2. Stabilire per quale tipo di disabilità è funzionale, significherebbe individuare le tipologie di persone per le quali l’intervento dell’assistente sessuale non sarebbe inutile o dannoso, il che però non significherebbe individuare per quale tipo di disabilità sarebbe strettamente necessario; significherebbe invece consentire l’accesso al servizio anche a chi ha caratteristiche attuali o potenziali tali da consentire di avere rapporti sessuali e relazioni intime spontanee. In ultima analisi, ciò si trasformerebbe in uno “scivolo”, che porterebbe molte persone con disabilità a protendere verso la soddisfazione dei propri desideri sessuali attraverso una modalità facilitata, “a buon mercato”, che non comporterebbe una crescita personale, bensì – potenzialmente – potendo condurre a un arretramento del livello di socializzazione e di sviluppo psicosociale.
3. Non prevedere un passaggio attraverso il quale valutare caso per caso l’effettiva impossibilità di giungere alla soddisfazione dei desideri sessuali senza l’ausilio dell’assistenza sessuale per accedere al servizio, ma stabilirlo una volta per tutte e per tipi di disabilità, ha un alto valore stigmatizzante, andando a connotare tutte le persone che, avendo determinate caratteristiche, verrebbero per legge definite inabili ad essere amate e ad amare. Ciò non corrisponde alla realtà, in quanto persone con medesime patologie hanno diversi livelli di integrazione sociale e di realizzazione per differenze di contesto e di personalità, e ciò vale anche rispetto all’àmbito delle relazioni sentimentali.

Quando si pretende di risolvere problematiche complesse come quella in questione con soluzioni semplicistiche, i rischi sono molteplici.
Come ho già detto, una delle controindicazioni è il fatto che una persona con disabilità che si rivolge a un assistente sessuale, portato/a per lavoro ad essere affettivamente e sessualmente compiacente, non sarà motivata ad evolvere, sviluppando cioè tutte quelle caratteristiche di personalità che rendono una persona attraente, seducente e desiderabile.
Una relazione sessuale “in vitro”, come quella con l’assistente sessuale, fondata su un contratto di lavoro e non sullo scambio di piacere reciproco, è un’esperienza completamente differente da quella che si può sperimentare in una relazione basata sul desiderio reciproco e su un sentimento di affetto e di amore.

Un altro rischio da tenere in considerazione è quello relativo al fatto che l’assistenza sessuale possa diventare un deterrente per progetti di creazione di una famiglia da parte delle persone con disabilità.
Immagine scelta a corredo della locandina di un convegno tenutosi a Cagliari del 13 settembre 2014Qui vale la pena ricordare che l’articolo 23 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità [“Rispetto del domicilio e della famiglia”, N.d.R.] riconosce «il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età di matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del consenso libero e pieno dei contraenti». Se è dunque vero, da un lato, che i promotori del Disegno di Legge n. 1442 sostengono la libertà di scelta di usufruire dell’assistenza sessuale, è altrettanto vero, dall’altro lato, che esiste ancora un fortissimo pregiudizio rispetto all’eventualità che persone con disabilità diventino genitori. Inoltre, progetti di questo genere richiedono un coinvolgimento significativo dei servizi sociali nel sostegno della famiglia in cui ci siano genitori con disabilità, soprattutto in caso di disabilità cognitiva.
In tempi di crisi e di tagli ai servizi, l’assistenza sessuale cade proprio a pennello nella misura in cui un servizio del genere può fornire un surrogato, utile a dare l’illusione dell’attenuazione della discriminazione delle persone con disabilità rispetto alla progettualità nelle relazioni intime. È evidente infatti che, per famiglie spaventate dall’eventualità che i propri congiunti disabili potessero concepire un figlio (e aggiungerei: comprensibilmente, vista la progressiva sottrazione di sostegno da parte dello Stato), sarebbe più rassicurante soddisfare i desideri sessuali attraverso l’intervento di un/una “professionista” che, nella generalità dei casi, avrebbe tutto l’interesse a proteggersi da gravidanze indesiderate. Salvo ovviamente clamorose violazioni del codice etico degli assistenti sessuali, rispetto al quale, per altro, il Disegno di Legge non prevede né sanzioni, né commissioni di vigilanza.

Infine, non si può non rilevare come l’approvazione di un siffatto Disegno di Legge equivarrebbe a una ratifica dello stereotipo del/della disabile indesiderabile, impossibilitato/a ad attrarre sessualmente e a far innamorare altre persone. Solo questa impossibilità potrebbe legittimare una deroga così importante alla legislazione italiana, che prevede il divieto di fornire prestazioni sessuali per lavoro. Paradossalmente, uno degli ostacoli più duri al benessere sessuale delle persone con disabilità, lo stigma sociale, verrebbe rinforzato piuttosto che abbattuto, come si dichiara di voler fare. Un rovesciamento della realtà degno di un libro di Orwell!

In conclusione, lungi dal trovarci di fronte a una «rivoluzione sessuale», come è stato pomposamente scritto in una testata giornalistica nazionale, questo provvedimento sancirebbe la resa delle persone con disabilità, di fronte alla possibilità di rappresentare loro stesse al mondo come persone degne della forma più intima dell’amore, quello sessuale, e capaci, a loro volta, di donare piacere.

Psicologo e psicoterapeuta, persona con disabilità motoria.

Del tema dell’“assistenza sessuale” la nostra testata si è ampiamente occupata in questi anni. Per la consultazione di un’ampia bibliografia, che comprende anche varie altre voci, oltre a quelle di «Superando.it», suggeriamo la consultazione di Andrea Pancaldi, La disabilità, il dibattito sull’assistente sessuale e oltre.

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