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Il diritto di fruire della bellezza e dell’emozione

Il gruppo di lavoro del Master "IAMDuomo", fotografato sul tetto del Duomo di Milano (©Antonio La Valle)

Il gruppo di lavoro del Master “IAMDuomo”, fotografato sul tetto del Duomo di Milano (©Antonio La Valle)

Le persone con disabilità hanno il diritto di fruire della bellezza? Con questa domanda, il 23 giugno, chi scrive ha iniziato la sua conversazione con un gruppo di giovani, futuri ingegneri e architetti, provenienti da Pavia, Santiago del Cile e Giessen in Germania.
Sono gli studenti che partecipano al Master IAMDuomo (organizzato dall’Università e dall’Almo Collegio Borromeo di Pavia, insieme alla Veneranda Fabbrica del Duomo) e che coltivano un piccolo grande sogno: quello di rendere visitabile il “tetto del Duomo di Milano” a tutti. Un sogno oppure un “incubo”, dipende dal punto di vista, perché in soli quindici giorni devono produrre idee per superare l’impasse che circa un anno e mezzo fa portò alla bocciatura di un contestatissimo ascensore.
Qualcuno ricorda l’appello che fece Franco Bomprezzi da queste stesse pagine alla fine del 2013, affinché un ascensore fosse realizzato? Allora Bomprezzi si chiedeva la stessa cosa: «Le persone come me, che sono tante, e le persone anziane (che sono ancora di più) hanno diritto a fruire della bellezza o questo diritto è riservato alle persone “di sana e robusta condizione fisica”?».

Nel caso specifico l’impresa è tutt’altro che semplice: «Accanto al problema dell’elevatore – spiega Alessandro Greco, direttore scientifico del progetto – anche il tetto presenta numerose difficoltà, come scalini, pendenze e passaggi stretti. Non siamo così presuntosi da pensare che in quindici giorni il problema si possa risolvere, ma sicuramente dai lavori degli studenti si potranno ricavare utili suggerimenti subito applicabili, ad esempio nel campo della segnaletica per tutti i visitatori. E poi chissà… a patto che non mi propongano una teleferica dal Museo del Novecento al Duomo!».
Il 4 luglio a Pavia questi progetti verranno “resi pubblici”, ma il problema resta. Ovvero, c’è qualcuno che non ha il diritto di ammirare, toccare, “sentire” le più alte opere dell’ingegno umano? L’arte è qualcosa che – dall’istituzione del concetto di museo e dalla sua creazione fisica – è diventata per tutti. Ma se ci confrontiamo con la realtà, il concetto di “per tutti” si assottiglia, si fa più labile. Anzi, sembra quasi che la “fiera delle bellezza” sia proibita alle persone con disabilità.
Musei e palazzi storici pieni di impedimenti. Oppure, ancor più banalmente, qualcuno ha mai notato che tutti gli oggetti progettati per le persone con disabilità hanno quel vago aspetto di “oggetto medico”? Sono cioè pensati per essere funzionali, talvolta semplici da usare, spesso di colore bianco o grigio (il colore della tristezza), con forme disarmoniche, spigolose, difficilmente ergonomiche, piacevoli al tatto o alla vista. Sembra quasi che i concetti di disabilità, design e stile corrano come i binari di un treno: perfettamente paralleli!

Certo, si potrebbe tirare in ballo le “grandi normative”, come l’articolo 30 (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata anche dall’Italia nel 2009 [Legge 18/09, N.d.R.], ove si dice espressamente che gli Stati devono adottare «tutte le misure adeguate a garantire alle persone con disabilità […] l’accesso a luoghi di attività culturali, come teatri, musei, cinema, biblioteche e servizi turistici, e, per quanto possibile, a monumenti e siti importanti per la cultura nazionale». Ma mi piace guardare le cose dal lato umano e parlare di persone che possono fare cose o di «turisti con esigenze speciali che sono semplicemente turisti, anche se camminano con le ruote e vedono con il tatto».

Il diritto al bello può anche declinarsi nel diritto all’emozione, come quella che hanno provato ad esempio le persone sorde che una decina di giorni fa hanno partecipato a Siracusa alla rappresentazione della tragedia Ifigenia in Aulide. Semplice come una lacrima di emozione che riga il volto di una persona non udente che per la prima volta si vede tradurre in un linguaggio a lui comprensibile una rappresentazione teatrale che ha percorso i secoli per giungere ai suoi occhi.
Il segreto dell’arte sta proprio in questo trasmettere emozione. Meglio degli uomini, infatti, l’arte è capace di parlare al cuore e alla mente di ciascuno di noi… senza fare inutili eccezioni!

La presente riflessione è già apparsa in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Sul tetto del Duomo: il diritto all’emozione” e viene qui ripresa, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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