Parliamo di “testamento pedagogico”

Garantire alle persone con disabilità supporti che continuino anche “dopo” la vita dei genitori, in modo tale che esse abbiano le stesse possibilità di inclusione sociale e di apprendimento che le famiglie avevano saputo garantir loro durante l’arco della vita. È questo, in sintesi, il senso del “testamento pedagogico”, atto che intende dare un senso nuovo alla stessa figura dell’amministratore di sostegno e che è al centro di un lavoro sperimentale condotto presso l’Università di Bologna

Disegno di omino in carrozzina che spezza le cateneGarantire ai ragazzi con disabilità supporti che continuino anche “dopo” la vita dei genitori, in modo tale che quei giovani divenuti adulti abbiano le stesse possibilità di sviluppo, di inclusione sociale, di assistenza pedagogica e di apprendimento che le famiglie avevano saputo garantir loro durante l’arco della vita.
È stato questo l’argomento della giornata-laboratorio svoltasi a fine giugno presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna, che ha visto la stesura, da parte delle famiglie coinvolte, supportate dall’équipe di Pedagogia Speciale guidata dal professor Nicola Cuomo, del primo “testamento pedagogico”.
Ma di che cosa si tratta esattamente? Lo abbiamo chiesto allo stesso Cuomo, che da anni conduce con il proprio team progetti in àmbito di pedagogia speciale a favore delle persone con deficit cognitivi. «In sostanza – ci dice – si tratta di garantire che il progetto educativo e di vita voluto dalle famiglie per i loro figli nel “durante loro” continui anche dopo la loro morte, grazie appunto a un “testamento pedagogico” depositato in tribunale, che espliciti le volontà delle famiglie stesse. Ed è questo il fondamentale elemento di novità rispetto alla Legge 6/04 che undici anni fa ha istituto nel nostro Paese la figura dell’amministratore di sostegno. Grazie cioè al testamento pedagogico, tale figura non agirà secondo azioni meramente burocratiche ed economiche, ma acquisirà il compito fondamentale di assicurare alle persone con deficit uno sviluppo cognitivo e affettivo permanente, all’interno di percorsi tutelati rigorosamente dai più moderni orientamenti della pedagogia speciale. La persona con deficit sarà così in grado di portare avanti permanentemente un percorso di maturazione e potenziamento delle proprie facoltà cognitive e intenzionali, in quanto inserita – grazie al supporto di un amministratore di sostegno, adeguatamente formato e permanentemente tutorato da un’equipe scientifica – in un percorso di vita ricco di occasioni ed opportunità finalizzate a tale scopo».

«Gli attuali paradigmi scientifici – prosegue Cuomo, allargando ulteriormente le prospettive della questione – hanno superato il concetto che esista un’età oltre alla quale si arrestano le possibilità di sviluppo cognitivo: la crescita è un percorso che continua per tutto l’arco dell’esistenza, a patto che vi siano adeguati supporti pedagogici, educativi e didattici, che alla persona con disabilità devono essere garantiti anche nel “dopo”, quando i genitori non saranno più presenti. In tal modo, quindi, il testamento pedagogico diventa l’atto formale che garantisce alla famiglia nel “dopo” una dimensione di vita per i propri figli, proseguendo il progetto di sviluppo cognitivo e affettivo intrapreso dall’infanzia/adolescenza, allo scopo di garantire alla persona con deficit una vita autonoma e indipendente, con l’emozione di conoscere e il desiderio di esistere. Un atto da porre in alternativa alla mera interdizione, la quale va a negare e/o limitare l’intenzionalità, le capacità decisionali, i desideri, delle persone con disabilità, destinandole verso il ricovero in apposite strutture: una prassi, questa, in contrasto con gli obiettivi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, dove al comma a) dell’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) si legge esplicitamente che le persone con disabilità devono avere la possibilità di “scegliere, sulla base di eguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere”, senza essere obbligate a una particolare sistemazione abitativa, e – al comma b) – che devono avere “accesso ad una serie di servizi di sostegno domiciliare, residenziale o di comunità, compresa l’assistenza personale necessaria per permettere loro di vivere all’interno della comunità e di inserirvisi e impedire che esse siano isolate o vittime di segregazione”».

Cuomo ricorda poi anche la Dichiarazione Scritta presentata recentemente da tredici Parlamentari Europei «sulla promozione della deistituzionalizzazione dei disabili nell’Unione Europea», di cui avevamo riferito su queste stesse pagine, annotando anche la soddisfazione espressa per l’occasione da Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
«In tutta l’Unione Europea – si leggeva tra l’altro in quel documento – vi sono centinaia di migliaia di minori, disabili, persone affette da problemi di salute mentale, anziani e persone senza fissa dimora che vivono segregati all’interno di istituti e subiscono per tutta la vita le conseguenze dell’istituzionalizzazione». Occorre dunque «abbandonare l’assistenza istituzionale a favore di un sistema di assistenza e sostegno basato sulla famiglia e sulla comunità».
Secondo il docente dell’Università di Bologna, «queste sono riflessioni di enorme valore sociale e civile, che oggi, proprio con il “testamento pedagogico”, possono concretizzarsi in un atto giuridicamente rilevante, per garantire alle persone con disabilità lo sviluppo, l’inclusione e il potenziamento cognitivo e affettivo in ogni contesto, dalla casa alla scuola al tempo libero al lavoro, e un’esistenza piena e non discriminata, autonoma ed indipendente, anche in età adulta».

«Serenità, piacere e desiderio di esistere – conclude Cuomo -: gli atti che l’amministratore di sostegno sarà autorizzato a compiere, per poter garantire quegli orientamenti che dovranno essere concordati con gli esperti nell’area della Pedagogia Speciale e della Psicologia Clinica (che all’interno del “testamento pedagogico” sono designati a tutela della qualità di vita delle persone con deficit), al fine di poter far parte e divenire tra i provvedimenti assunti dal Giudice Tutelare nel corso dell’amministrazione di sostegno, per poter essere immediatamente annotati a cura del Cancelliere nell’apposito Registro. Il bene e i vantaggi della cura della persona con disabilità in termini di qualità di vita risultano essere dunque il principale tra gli interessi da amministrare, e le risorse economiche sia private che assistenziali attribuite alla persona con disabilità andranno orientate in modo da conseguire questo primario obiettivo».
Temi e questioni senz’altro molto stimolanti, che contiamo, prossimamente, di approfondire ancor di più nel nostro giornale. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: nicola.cuomo@unibo.it.

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