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Come si spiega il “boom” delle diagnosi di autismo?

Foto in bianco e nero di profilo di ragazzo davanti a un vetro che riflette la sua immagine«Le diagnosi di autismo negli Usa sono cresciute di tre volte in 10 anni, ma la maggior parte di questo aumento, che qualcuno attribuisce ai vaccini, è dovuto semplicemente a un cambio di nome, per cui molti bambini che avrebbero ricevuto una diagnosi di “disturbi cognitivi” l’hanno avuta invece di autismo». Così una nota diffusa dall’Agenzia ANSA alla fine di luglio, basata su uno studio promosso negli Stati Uniti dalla della Penn State University (l’Università della Pennsylvania).
«Secondo il Cdc di Atlanta [Centers for Disease Control and Prevention, ovvero “Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie”, N.d.R.] – come riporta ancora l’ANSA – negli Usa si è passati da una diagnosi di disturbi dello spettro autistico ogni 5mila bambini nel 1975 a uno su 150 nel 2002 a uno su 68 nel 2012».
Viene segnalato infine che la Penn State University «ha analizzato i dati sulle richieste di insegnanti di sostegno negli Usa tra il 2000 e il 2010, per circa 6,2 milioni di bambini l’anno, osservando che il loro numero è rimasto invariato nel periodo considerato. Più nel dettaglio, le richieste per bimbi affetti da autismo sono aumentate nel periodo di tre volte, ma quasi il 65% di questo aumento è stato compensato da una diminuzione del numero di pazienti classificati nella categoria “disabilità intellettuali”. “Il peso della riclassificazione varia a seconda dell’età – scrivono gli autori -. Per i bambini di otto anni il 59% dell’aumento osservato delle diagnosi di autismo è dovuto alla differente diagnosi, mentre a 15 anni la percentuale è del 97%».

«Lo studio citato – commenta Carlo Hanau, docente di Statistica Sanitaria all’Università di Modena e Reggio Emilia – è simile, nelle conclusioni, a un’altra ricerca danese (primo autore Stefan Hansen), pubblicata nel 2014. Resta pertanto da spiegare una buona parte dell’impressionante aumento registratosi. Se infatti dividiamo in due parti il 15% di aumento per anno registrato negli Stati Uniti, il 9% di esso è dovuto alla modalità di classificazione, ma il 6% non può essere spiegato da tale modalità».
Oltre quindi a ricordare che «se «il totale degli alunni con disabilità resta invariato negli Stati Uniti, mentre non è così, ad esempio, in Italia, dove si registra un aumento del 5% nell’ultimo decennio», Hanau sottolinea che «il 6% in più di casi di autismo da un anno all’altro mi sembra un validissimo motivo per fare ricerca e cercare di spiegare cosa stia succedendo in realtà da noi e nel resto del mondo, escludendo quelle ricerche che ormai hanno dato risultati negativi, come quelle sulle vaccinazioni, e puntando invece sugli studi di epigenetica e di fattori nocivi ambientali, come l’inquinamento da traffico e gli insetticidi, che hanno dato primi risultati positivi». (S.B.)

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