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Il linguaggio sulla disabilità non si improvvisa

Video di Lorenzo Baglioni e Iacopo Melio

Un’immagine tratta dal video di Lorenzo Baglioni e Iacopo Melio, che rivisita “in chiave barriere” la celebre canzone di Enzo Jannacci “Vengo anch’io. No, tu no”

Che sia indispensabile trovare nuove forme comunicative per parlare di disabilità lo sostengo da anni. Scrivere è fondamentale, ma in una società dove l’informazione è aggredita dalla nostra deviazione di essere comunicativamente multitasking [usare diversi strumenti di comunicazione, anche contemporaneamente, N.d.R.], lo scritto diventa buono per l’approfondimento e sempre meno per l’acquisizione immediata. Fra un post e un video c’è un abisso comunicativo, anche perché il video può diventare virale, a differenza di queste misere righe.
E qui veniamo ad alcuni begli esempi di linguaggio sulla disabilità che girano in rete. Il caso di Lorenzo Baglioni e Iacopo Melio, che rivisitano Jannacci è solo l’ultimo della serie. Anche la coppia Federico Clapis e Massimiliano Sechi non è male. E poi c’è il linguaggio di Franco Montanaro, che è una cosa a sé.

Nessuno pensi che un video sulla disabilità si improvvisi. Specie se ci si scherza su, perché fare ironia su argomenti che per il grande pubblico sono carichi di emotività è un lavoro che richiede conoscenza, tecnica e tanta, ma proprio tanta, testa. Senza questi elementi si corre il serio rischio di pubblicare qualcosa di sgradevole o, peggio, di offendere. E infatti, nessuno dei summenzionati fenomeni più o meno virali è realizzato da professionisti improvvisati.

Scatena tanta ilarità il filmato di Lorenzo Baglioni e Iacopo Melio, che sulle note di Vengo anch’io. No tu no di Enzo Jannacci, appiccicano un testo goliardico che cita alcune delle tante barriere in cui una persona in carrozzina si imbatte nel quotidiano e chiude con l’auspicio che il video possa cambiare un po’ della cultura generale.
Bell’idea assolutamente, ma non nuova per Lorenzo, che proprio rivisitando uno stornello della tradizione fiorentina, ha realizzato il video che ha spopolato nel web Le ragazze dei locali di Firenze, pungente parodia delle giovani che frequentano i più conosciuti locali fiorentini.
Baglioni non è solo un apprezzato comico, ma è anche un attore ed è laureato in matematica. Insomma, mica è il “primo creativo che incontri per strada” che piglia una canzone a caso e ci sparpaglia su parole improvvisate. E neanche Iacopo lo è. Anzi, Iacopo è un amico di queste stesse pagine, del quale parlò il maestro Franco Bomprezzi, a proposito del suo hashtag #vorreiprendereiltreno, divenuto brillante fenomeno virale di denuncia sulle difficoltà di prendere liberamente il treno per chi si sposta in carrozzina.
Siamo di fronte, quindi, a due persone che hanno sufficiente testa e cuore, nonché creatività e competenza, per produrre un video spiritoso quanto scrupoloso.

Federico Clapis e Massimiliano Sechi

Federico Clapis e Massimiliano Sechi, creatori della serie “Give Me a Hand”

Storia analoga è quella dell’accoppiata Federico Clapis-Massimiliano Sechi. Clapis è un artista che si esprime graficamente attraverso i quadri, ma è anche un attore e uno youtuber (come pure Baglioni). Sechi è un gamer, un campione di videogiochi. Senza gambe e braccia, ma questo è secondario se non fosse che, a mio giudizio, diventare campioni di videogiochi senza usare le dita richiede doti da fuoriclasse!
I due hanno creato non troppo tempo fa la serie Give Me a Hand, in cui Clapis si trova in difficoltà durante certi momenti che capitano a tutti (svitando una lampadina, correndo sul tapis-roulant…) e Sechi lo cava dai guai quasi sbeffeggiandolo. Massimiliano spesso pubblica suoi video di denuncia sul suo profilo Facebook, alcuni molto gustosi. Anche in questo caso, perciò, siamo di fronte a due professionisti che la sanno lunga su come si fa un video accurato e d’effetto.
Se nell’accoppiata Baglioni-Melio prevale la goliardia e il finale è dichiaratamente schietto sull’intento educativo del video, in quella Clapis-Sechi l’effetto è sarcastico, quasi cattivo, e tutto è affidato all’interpretazione dell’utente. Si tratta, perciò, non solo di due modalità narrative differenti, una centrata sulla musicalità e l’altra sul racconto, ma pure di due diverse tendenze espressive: l’una palese, l’altra ermetica. Ambedue raffinate. Entrambe capaci di cogliere l’attenzione dello spettatore senza troppi giri di parole. Insieme in grado di far parlare. Di mostrare. Di togliere dall’invisibilità. Chapeau.

Altro caso è quello di Franco Montanaro e del cortometraggio Il nostro piccolo segreto. Di Montanaro ho già avuto modo di scrivere altrove e ricordo anche che ha lavorato in passato sotto la direzione di Ermanno Olmi. Il suo video è freschissimo di pubblicazione su YouTube, ma ha già ricevuto diversi riconoscimenti cinematografici, e racconta la storia di una donna malata di Alzheimer, Marinella Manicardi, che riceve in casa una figlia che non riconosce come tale, ma con cui si instaura un sereno rapporto di complicità, presentandosi ella come parrucchiera.

"Il nostro piccolo segreto" di Franco Montanaro

Una scena del cortometraggio “Il nostro piccolo segreto” di Franco Montanaro

Si tratta di una decina di minuti di delicatezza nati dal racconto di vita vissuta di Elisa Iacobucci, che ha poi contribuito a scrivere il soggetto, che Montanaro riporta silenziosamente. Nel filmato, infatti, nulla è spiegato e la chiave interpretativa è affidata alla recitazione e ai gesti, alle immagini e al suono, che si avvale d’una tecnica innovativa di particolare realismo.
In questo caso non c’è nessuna provocazione. E non c’è nessuna didascalia che non sia il cercare di evocare dei sentimenti nello spettatore. Il linguaggio nuovo, per così dire, usato da Montanaro sta nell’aver lasciato parlare la realtà, tingendola, attraverso le inquadrature e le espressioni, di poesia.

Ma veniamo al dunque. Il linguaggio sulla disabilità non si improvvisa, nemmeno per immagine. Vuole la sua esperienza, la sua preparazione, e ha canoni ben precisi. Che sia la goliardia, la provocazione o la poesia a tentare di dire qualcosa, il mezzo visivo ha buone possibilità di penetrare la nostra cultura. Ha una grande potenza. Tanto enorme da arrivare velocemente alle orecchie della gente quasi ovunque si trovi. E magari da arrivare anche al cuore e alla testa. Purché non ne esca altrove senza lasciare traccia. Ma per questo pubblico non c’è comunicazione che tenga, io credo.

Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Vengo anch’io: viaggio nella comunicazione filmata sulla disabilità”). Viene qui ripreso, con alcuni minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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