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“Due piedi sinistri”: la forza di quel sorriso

Luana, protagonista di "Due piedi sinistri"

Il sorriso di Luana, che conclude il cortometraggio “Due piedi sinistri”

Spopola in rete e, immagino, soprattutto nella Capitale, il cortometraggio Due piedi sinistri, scritto da Nicola Guaglianone con la regia di Isabella Salvetti. Il film, presentato nello scorso mese di maggio, ha vinto il Globo d’Oro ed è arrivato nella cinquina finalista dei David di Donatello. Consiglio a chi non lo avesse visto di guardarlo subito, anche perché così quello che scriverò non gli rovinerà la sorpresa.

Ambientato a Roma, nel quartiere di Testaccio, il cortometraggio ha come protagonisti un gruppo di ragazzini che giocano a pallone in una piazzetta e Luana, una ragazza della loro età che li osserva da dietro un muretto. Mirco, il più carino e intraprendente tra i giocatori, nota Luana quando va a riprendere la palla. Attacca discorso con lei e quando la partitella finisce, passa a salutarla e la invita a prendere il gelato col gruppo.
Qui, il primo colpo di scena: lei è su una sedia a rotelle. La cosa imbarazza non poco il ragazzo che finirà per andarci da solo, dal gelataio, lasciandola lì, sulla sua carrozzina. Il motivo, però – e qui sta la genialità di chi ha scritto il corto – non ha niente a che vedere con l’handicap. Lui, infatti, non se la sente di portarla con sé, perché guardando la ruota della carrozzina vede lo stemma della Lazio. È laziale, e per quanto sia carina e simpatica, Mirco non può farsi vedere insieme a lei.
Nel dialogo tra i due giovani e bravissimi attori c’è la vera forza di questo piccolo film. Luana pensa che sia la sua disabilità a provocare la reazione di Mirco. E alla fine, quando capisce che il problema è la fede calcistica, fa un sorriso dolcissimo, nel quale si legge la felicità di essere trattata da persona “normale”. E quindi anche emarginata, perché della Lazio.
A questo proposito ricordo che quando era consigliere nel Comune di Roma, l’attuale deputata Ileana Argentin, affetta da una grave malattia genetica, mi disse di essersi sentita considerata come tutti gli altri il giorno in cui un Consigliere della parte politica opposta alla sua l’aveva insultata in aula.

Tornando a Due piedi sinistri, ho letto commenti di vario genere sulla rete. La maggior parte lo apprezza e ne capisce il messaggio. Qualcun altro si limita a proiettarlo nel “pollaio calcistico” («Forza Romaaa» oppure «Ha fatto bene… non si esce con una laziale» o, addirittura, «ragazzi non si scherza, essere della Lazio è un vero handicap»). C’è anche chi parla di occasione colta a metà, perché, pur superando il pregiudizio legato alla disabilità, si ricade in quello della fede calcistica. Il critico immagina invece un lieto fine, con il ragazzo che supera pure il problema della “lazialità” e accompagna la sua coetanea a prendere il gelato.
Non sono d’accordo. Credo invece che la forza del film sia tutta nella scena finale, che fa riflettere proprio perché Mirco lascia lì Luana e lei, nonostante questo, sorride. C’è da dire, poi, che sicuramente non è un caso che gli attori del corto siano ragazzini. Come a dire, siamo noi adulti, con le nostre sovrastrutture mentali, a creare le barriere e le discriminazioni. Lo stesso concetto espresso dal breve film intitolato The eyes of a child (“Gli occhi di un bambino”), di cui avevo scritto a suo tempo in InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it».
Le nuove generazioni non discriminano più chi sta su una sedia a rotelle? A riprova della mia tesi sembrerebbe esserci la reazione di mio nipote Jacopo, 10 anni, romano, calciatore in erba e tifosissimo della Roma. Quando gli ho fatto vedere il video di Mirco e Luana, non ha fatto una piega. «Embè – mi ha detto – che c’è di strano?».

Non so perché, ma guardando Due piedi sinistri mi sono trovato a pensare a Roma, la mia città. Una città in crisi, va di moda dirlo, sporca, malavitosa, mal governata. Una città che contiene in sé mille contraddizioni, ma che ha dalla sua un’arma potentissima: la capacità di sdrammatizzare, di farsi scivolare sopra le cose, di andare avanti sempre e comunque e di superare i periodi più bui, si chiamino Lanzichenecchi o Mafia Capitale.
Il romano è come Mirco, che fa simpatia perché ti aspetti che emargini la sua nuova amichetta vergognandosi della sua sedia a rotelle e lui, invece, pensa solo al pallone, come gran parte dei ragazzini romani della sua età. Come scrisse Ennio Flaiano: «Roma ha questo di buono, che non giudica, assolve».
Che poi quello dell’odio e delle violenze tra le tifoserie sia un problema serio, su cui c’è poco da sdrammatizzare e su cui intervenire fin da piccoli, non c’è nessun dubbio. Ma è materia di un altro dibattito. E di un altro cortometraggio.

Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Sei della Lazio, altro che handicap…”, e viene qui ripreso, con alcuni minimi riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

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